Buona parte dei cittadini deve affrontare ogni giorno, a causa della crisi, tante e tali difficoltà che la collocazione della riforma della legge elettorale nella top ten delle priorità pare fuori posto. Eppure, il capo dello Stato si è sentito in dovere di rimbrottare i partiti per la loro incapacità di accordarsi. Sottolineando espressamente il proprio rammarico per il fatto che «a distanza di oltre 20 giorni lo sforzo da me sollecitato con lettera del 9 luglio non abbia purtroppo prodotto i risultati attesi».  Di recente, in effetti, a complicare il quadro è sopraggiunta la presentazione di una proposta di legge del Pdl; che, al di là del merito – premio di maggioranza al partito del 15%, sbarramento al 5%, preferenze per i ¾ delle candidature -, limita notevolmente i margini di trattativa. In ogni caso: perché insistere proprio sulla legge elettorale? Lo abbiamo chiesto a Claudio Sardo, direttore dell’Unità.



Come si spiega la nota di Napolitano?

E’ profondamente legata agli interessi del Paese. Tutti i partiti, pressoché indistintamente, hanno più volte manifestato il proprio disprezzo per l’attuale sistema elettorale. Se fossero indette nuove elezioni con la vecchia legge subirebbero, agli occhi dell’opinione pubblica, l’ennesimo crollo di credibilità e qualunque futura azione politica ne risulterebbe fortemente delegittimata. Le preoccupazioni di Napolitano sono, inoltre, dettate dalla tempistiche elettorali.



Cosa intende?

Entro, al massimo, settembre il capo dello Stato dovrà disporre di tutti gli elementi necessari (tra cui la nuova legge elettorale) per decidere se indire le elezioni in primavera o, anticipandole, a novembre. Non è escluso, infatti, che si produca l’ennesima ondata di crisi e che l’Italia si trovi costretta a fronteggiarla con nuove importanti misure. Ma, a quel punto, il governo tecnico non avrebbe più il tempo né la sufficiente legittimazione politica per predisporre una nuova manovra. Si tratterebbe di un compito assumibile esclusivamente da un governo democraticamente eletto.



Non crede che Napolitano tema anche l’astensionismo e il successo dei partiti estremisti?

Effettivamente, i partiti come l’M5S di Beppe Grillo, l’Idv o l’Italia dei Valori traggono linfa vitale dell’incapacità della politica di essere limpida, efficace e coerente; tale tendenza sarà ridimensionata se anche la legge elettorale contribuirà a far capire ai cittadini che avranno modo di scegliere tra due alternative di governo. Ovvero, se il frutto delle elezioni non si limiterà ad un governo formalmente democratico ma, di fatto, derivante da un accordo tra i partiti e con l’Europa.

Perché il Pdl ha lanciato la sua proposta senza attendere che si raggiungesse un’intesa?

Il Pdl, in tal senso, è animato da tre componenti: c’è chi crede nell’accordo, perché ritiene rappresenti un vantaggio per il sistema; chi non lo vuole fare; e chi, infine (credo sia la linea che ha prevalso), lo vuole, ma non ora, onde scongiurare il pericolo di elezioni anticipate.

In che modo?

Il varo di una riforma elettorale e il ricorso anticipato alle urne sono due elementi, di norma, fortemente collegati. Se nel Pdl prevalesse l’idea che in autunno la sconfitta sarebbe di proporzioni inaccettabili, farebbe di tutto per procrastinare l’accordo. A ottobre, almeno. A quel punto, non si potrebbe votare prima di gennaio. E’ probabile, inoltre, che in molti, nel partito, siano convinti del fatto che, trascorso l’autunno, Monti e il Pd si indeboliranno.

Napolitano ha anche fatto presente che a lui soltanto è attribuito il compito di indire nuove elezioni e di sciogliere le camere. A chi si stava rivolgendo?

Credo che le sua parole vadano intese come un’azione di sostegno all’azione di Monti; è necessario che il premier abbia facoltà di scegliere le data delle elezioni in base a ciò che ritiene meglio per il Paese. E’ fondamentale, del resto, che i mercati abbiano tale percezione. E’ pur vero che, in tanti, nel Pd, auspicano il voto anticipato. Ma, nel gruppo dirigente, non è di certo considerata una necessità stringente.

Crede che il Pd, al di là dell’irritazione provocata dell’atteggiamento del Pdl, potrà contemplarne la proposta?

Non sarebbe la prima volta che il Pdl si rimangia la parola e, di conseguenza, la diffidenza del Pd è altra. Il disegno di legge presentato, tuttavia, è caratterizzato da una serie di ipotesi tutto sommato ragionevoli. Potrebbe, quindi, fungere tranquillamente da base per un’intesa. Mi auguro che il Pd riesca a condurre avanti la trattativa senza lasciarsi condizionare semplicemente dal comportamento sgradevole del Pdl.

 

(Paolo Nessi)