Caro direttore,

Per affrontare il tema in modo corretto e costruttivo bisogna anzitutto richiamare due coordinate costituzionali precisate dal massimo interprete della Carta, la Corte costituzionale, giacché, purtroppo, il legislatore ordinario si presenta fortemente inadempiente e quasi tutto è stato chiarito solo da essa.



1. I due perni: articolo 29 e articolo 2, distinguere per unire

La prima è l’articolo 29. La Corte in varie sentenze, e in ultimo con la 138/2010, ha mantenuto una chiara specificità della famiglia fondata sul matrimonio secondo l’art. 29 della Costituzione, ritenendo la diversità dei sessi tra i coniugi un pilastro che “non può essere superato per via ermeneutica”. Qualcuno può auspicare che la Corte cambi giurisprudenza, ma finché non lo fa ci si deve attenere ad essa. Qualcun altro può ipotizzare di procedere a una revisione costituzionale, che però richiede livelli di consenso e tempi di decisione che la rendono ad oggi del tutto aleatoria. La seconda è l’articolo 2. La Corte con la giurisprudenza sull’art. 29 non ha affatto affermato che le stabili convivenze abbiano un significato solo privato, che non comportino anch’esse diritti e doveri.



Anzi ne ha rinvenuto un chiaro fondamento nell’articolo 2 della Costituzione, facendo riferimento alla nozione di “formazione sociale”, prima applicandolo alle coppie eterosessuali, riconoscendo anche direttamente alcune tutele alle medesime rimediando così alle omissioni del legislatore (sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988) e poi anche alle coppie omosessuali (la 138/2010) anticipando che anche nel loro caso, quando le capiteranno questioni particolari, valuterà se ci siano elementi per riconoscere direttamente diritti e doveri, auspicando però nel contempo che il legislatore provveda autonomamente a una disciplina organica.



2. I compiti del legislatore consapevole che il gioco non è a somma zero

Compito quindi del legislatore è attuare sia l’articolo 29, promuovendo le persone che danno vita alla famiglia fondata sul matrimonio, sia l’articolo 2, valorizzando anche il significato sociale delle unioni civili, comprese quelle tra persone omosessuali, senza confondere le due figure ma anche senza opporle tra di loro.

Anche se i periodi di crisi economica e di risorse pubbliche scarse portano a contrapporre i titolari dei diritti, non c’è un gioco a somma zero tra le une e le altre. In negativo lo dimostra la situazione attuale, in cui non sono adeguatamente valorizzate né l’una né le altre e anche le polemiche degli anni scorsi non hanno giovato a nessuno.

 

Forse che la mobilitazione anti-Dico col Family Day ha ottenuto politiche familiari più incisive? Il legislatore ha a disposizione varie scelte possibili di modelli, da affrontare laicamente nei pro e nei contro di ciascuna. Il confonto sarà tano più fecondo quanto più si baserà sull’intento di valorizzare sia l’art. 29 sia l’art. 2.

 

3. I compiti dell’amministratore a legislazione invariata: la postiva delibera di Milano

 

Intanto, però, sul piano amministrativo, le amministrazioni comunali possono fare qualcosa di analogo a quello che, a livello alto, fa la Corte Costituzionale, prendendo consapevolezza del fenomeno e vedendo i margini concessi dal Testo Unico sugli enti Locali soprattutto in materia di politiche sociali, senza attendere passivamente che il legislatore agisca. Da questo punto di vista il testo finale della delibera di pochi giorni fa del Consiglio Comunale di Milano rappresenta una scelta meditata e positiva.

 

Il punto di partenza, come aveva a suo tempo pionieristicamente proposto Ermanno Gorrieri, uno degli studiosi più attenti all’importanza dei legami sociali, non può che essere la legislazione vigente dal 1989 sulla cosiddetta “famiglia anagrafica”, cioè l’articolo 4 del Dpr 223/1989. Esso recita: “Agli effetti anagrafici per famiglia s’intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune.”

Cosa si intese fare allora rispetto alla normativa precedente, che già prevedeva la “famiglia anagrafica”? Prima del 1989 essa si fondava sul vincolo economico, sulla messa in comune di tutto o parte del reddito di lavoro o patrimoniale dei componenti. Invece da allora sono sufficienti anche i soli vincoli affettivi, prendendo atto di un’evoluzione sociale in corso, la medesima di cui ha poi tenuto conto la Corte costituzionale.

 

Il Consiglio Comunale di Milano è partito dalla “famiglia anagrafica”, che può comprendere anche realtà diverse dalle coppie (persone singole o, più frequentemente, realtà più ampie di coabitazione). Ha quindi ben ritagliato dentro di esse la realtà specifica delle coppie, di sesso diverso o anche dello stesso sesso, dando vita a una registrazione auonoma, anche se connessa, che consente così di muoversi chiaramente dentro quella tipologia di “unioni civili” protette dall’articolo 2 della Costituzione, non confusa con la famiglia fondata sul matrimonio. Esattamente come la Corte Costituzionale il Comune valuterà poi secondo criteri di ragionevolezza e tenendo conto delle diversità interne al fenomeno (“con particolare attenzione alle condizioni di svantaggio economico e sociale”) i criteri di ammissione al godimento dei diritti.

 

4. Una conclusione, pur provvisoria

 

Pacatezza, ragionevolezza, consapevolezza dei mutamenti da accompagnare sono caratteristiche che, nella distinzione dei ruoli reciproci, dovrebbero pertanto unire giudici, legislatori e amminsitratori.