Perché è inevitabile il ritorno in campo di Berlusconi? Quali i punti di forza e di debolezza? Il ritorno del Cavaliere, per quanto riguarda il Pdl, deriva dal fallimento dell’ipotesi di una leadership e di una politica post-berlusconiana nel centro-destra. Alfano come leader elettorale non è decollato, né è decollato un gruppo dirigente collegiale e solidale. Non c’è stato (né, probabilmente, poteva esserci) un voltar pagina e nessuna nuova pagina è stata scritta in quanto in assenza di Berlusconi non si è riusciti a recuperare l’Udc e nemmeno la Lega. Il Pdl è rimasto politicamente “al palo”, isolato e senza un’”immagine esterna” nuova o alternativa che fosse percepita dall’elettorato e dall’opinione pubblica.
A ciò si aggiunge un certo ridimensionamento dei due principali “capi di accusa” che hanno spinto Berlusconi a gettare la spugna: “spread” e “caso Ruby”. Lo spread è tornato a essere stabilmente quello dell’Italia berlusconiana mentre l’accusa giudiziaria che ne ha minato il carisma pubblico (in quanto ha evidenziato un leader superficiale e vulnerabile) è comunque percepita dall’opinione pubblica come uno squallido scandalo, ma di sproporzionata attenzione giudiziaria. Anche l’antiberlusconismo ha perso il carisma: da Super-Io della “questione morale” a pool di “paparazzi” di felliniana memoria.
Ma il dato principale che determina le condizioni del ritorno di Berlusconi è rappresentato non solo dal mancato avvento del Pdl postberlusconiano. Berlusconi torna in campo perché non si è creato un quadro politico nuovo, postberlusconiano. La nuova maggioranza – la grande alleanza riformista – che sembrava alla base del governo Monti in cui dovevano prevalere le anime riformiste, responsabili e ragionevoli presenti nei vari schieramenti si è rapidamente svuotata di ogni prospettiva innovativa. Il governo Monti infatti non ha il sostegno di una maggioranza riformista, ma di una riedizione delle “convergenze parallele” secondo la definizione morotea di mezzo secolo fa: una tregua armata e senza sostegni convinti e coerenti. Persino gli iniziali vertici Alfano-Bersani-Casini sono stati rinnegati e cancellati.
In questi mesi abbiamo in realtà assistito non alla maturazione di una convergenza e comunque di un nuovo scenario, ma alla messa in moto delle opposte centripete che ci hanno riportato al punto di partenza.
È così che si arriva a una ridiscesa in campo di Berlusconi che presenta segni di indubbia stanchezza, ma anche la ridiscesa in campo – sul fronte opposto – dell’antiberlusconismo non promette allettanti novità. Se da un lato ci si muove sulla politica come “evento”, dall’altro si replica con la politica come “organigramma”. In particolare l’accoppiata Bersani-Vendola – che si manifesta mettendo sullo stesso piano di priorità e di emergenza nazionale le misure anticrisi e le coppie gay – sottolinea i rinati margini di manovra di Berlusconi.
Oggi lo spazio di “rivincita” di Berlusconi è rappresentato dal fatto che la sinistra, mettendo a tacere i riformisti, ripropone idee e slogan del Pci degli anni Settanta – la lotta ai “ricchi” e ai “grandi evasori” – contestati e irrisi più di trent’anni or sono dalla destra comunista di Giorgio Amendola.
Una sinistra che non rompe con no global e no Tav e che rincorre una Cgil che rincorre la Fiom crea le condizioni di un rilancio del centro-destra come unica politica realistica e praticabile “nel” sistema e non incatenata ai Vendola dell’”immaginazione al potere”.
D’altra parte Berlusconi deve fare i conti con numerosi e consistenti handicap. È un Berlusconi che ha alle spalle una storia di alleati persi: senza Bossi, Casini, Fini e Tremonti. Tutti traditori o incapacità di leadership politica? I berlusconiani assicurano che finalmente avremo il Cavaliere libero e genuino che farà la famosa “rivoluzione liberale”. Ma la piattaforma del ’94 è ancora attuale? O non è piuttosto un insieme di illusioni o comunque di idee da “fine della storia”, immaginate all’indomani della caduta del comunismo, legate al clima da “belle époque” dell’inizio anni Novanta quando si pensava che il mondo sarebbe diventato tutto liberista e democratico e che l’Italia potesse essere “smontata come un meccano”?
I principali punti di debolezza di Berlusconi sono in sostanza due: uno spostamento a destra e l’isolamento internazionale. L’impostazione “liberista” che non solo i Tremonti definiscono “mercatista”, ma anche l’intellettualità thatcheriana di Londra considera da “capitalismo autodistruttivo”, lascia abbandonata molta area di centro che aveva portato il centro-destra a vincere in passato. È appunto questo che avvantaggia i concorrenti con una rinnovata attenzione del Pd verso l’area laica ed ex socialista e dell’Udc verso l’area cattolica ed ex democristiana. In particolare tutto ciò che era stato costruito negli ultimi anni dai ministri ed esponenti del Pdl “cattosocialisti” come consenso, attenzione e coinvolgimento in campo sindacale e imprenditoriale sembra venir vanificato e regalato a Bersani e Casini.
L’altro aspetto rilevante – insieme allo spostamento a destra – è il gelido isolamento internazionale nonostante le personalità di cui il Pdl dispone nello scacchiere internazionale, ma che sembrano oggi “consegnate in caserma”. Se nei prossimi mesi Berlusconi non riesce ad avere incontri internazionali bilaterali di rilievo, la campagna elettorale per la leadership dell’Italia è fortemente compromessa.
In verità questo handicap dell’isolamento internazionale coinvolge anche Pd e Udc. Ai vertici di Bruxelles non solo Berlusconi e Alfano, ma anche Bersani e Casini sono apparsi quale tifoseria in trasferta, partecipanti a vaste riunioni di cui sono membri di diritto, ma nessun leader europeo sembra averli presi in considerazione come interlocutori diretti o su cui fare un investimento per il proprio futuro.
È invece su questo piano che indubbiamente Napolitano e a Monti appaiono in vantaggio in quanto sembrano aver tratto l’Italia da un sostanziale isolamento e di essere stati capaci di creare una rete di rapporti e di iniziative.
Le centripete del Pd e del Pdl debbono quindi fare i conti con la necessità di riuscire a risalire sulla scena internazionale.