Non accenna a placarsi la polemica sulla presunta trattativa Stato-mafia, che con il passare delle settimane si arricchisce così di nuove spinose vicende. Antonio Di Pietro è tornato all’attacco del Presidente della Repubblica, denunciando una «campagna di denigrazione e calunnie senza precedenti» scatenatagli contro, a suo dire, dopo aver osato criticare il Quirinale sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Mancino. Nel frattempo Il Fatto Quotidiano ha lanciato una petizione in difesa di una Procura di Palermo definita “sotto assedio”, mentre si continua a discutere sulla legittimità delle visite in carcere del senatore Lumia (Pd) e dell’On. Sonia Alfano (Idv) al boss di mafia Bernardo Provenzano.
«Credo che il dibattito sia viziato da una confusione generale sui termini del problema – spiega Piero Ostellino a IlSussidiario.net –. Occorre una premessa. La Ragion di Stato è un modo d’essere della politica, una categoria della politica immanente alla politica stessa. Non si può codificare né definire per legge. Il diritto, invece, è l’insieme delle regole del gioco che tutti i cittadini, potere politico compreso, devono seguire. Quando la politica ricorre alla Ragion di Stato, non si sottrae quindi all’imperio della legge, ma, nella sua autonomia, ritiene che per ragioni di opportunità sia meglio infrangerla perché rispettarla produrrebbe degli effetti peggiori».
Cosa che secondo lei è avvenuta nella presunta trattativa tra lo Stato e la mafia?
Non tocca a me dirlo. Di certo però, in un paese normale, tutti i poteri dello Stato, compresa la magistratura, sono perfettamente consapevoli dell’“etica della responsabilità”, illustrata da Max Weber. Quell’etica ovvero che tiene conto delle conseguenze e non solo dei principi e che, come fa la politica, non dice mai “in nome dei principi crolli il mondo”. Piuttosto deroga ai principi per evitare che il mondo crolli.
E cosa dovrebbe fare la magistratura davanti a pagine come questa?
I magistrati dovrebbero capire che la deroga alle regole del gioco non è una normale violazione della legge e quindi non dovrebbero intervenire.
Vede, il procuratore Antonio Ingroia continua a chiedere alla politica di definire in quali ambiti sia scattata la Ragion di Stato. Ma questo nessuno può farlo perché non è codificabile. Detto ciò, non significa che ci sia una deroga assoluta all’etica dei principi, ma che la morale della politica è diversa da quella dell’uomo qualunque. Non si può insomma confondere la politica con il diritto o con l’etica. Ciascun ambito ha la sua autonomia. Tutt’altra cosa è il “segreto di Stato”, che è una categoria giuridica e che può essere imposto dal governo su un fatto concreto. Mi stupisce che Ingroia non sappia queste cose.
La presunta trattativa dovrebbe quindi rimanere materia per gli storici?
Se è realmente avvenuta questo non è stato possibile perché i politici fossero legibus soluti, ma solo per ragioni superiori di interesse nazionale. Gli storici valuteranno se davvero è stato l’interesse dello Stato a prevalere.
Il procuratore di Palermo l’ha invitata più volte a non parlare più di trattativa “presunta” perché è stata confermata dalle sentenze.
In parte ha ragione, ma stiamo pur sempre parlando di verità processuali. E la verità di un processo non coincide con la verità storica, così come non è una verità assoluta.
La vicenda si è poi complicata dato che il nodo irrisolto delle intercettazioni telefoniche ha trascinato nella disputa anche il Quirinale, coinvolto per le intercettazioni Napolitano-Mancino. Cosa ne pensa?
In questo caso non c’entra più la Ragion di Stato, ma l’anomalia di questo Paese. Solo da noi un inquisito eccellente, come il Senatore Nicola Mancino, chiama il Quirinale per chiedere aiuto. Questo è il primo errore grave, sia di Mancino, sia del Colle che ha deciso di rispondere a un inquisito.
Ancora più grave l’abuso della magistratura che ha coinvolto il Capo dello Stato in una vicenda di intercettazioni, dalle quali dovrebbe essere protetto. Non solo, questi dialoghi sono poi stati fatti trapelare sui giornali. Un fatto evidentemente inaccettabile.
Ed ora, come si esce da questo cortocircuito?
Nell’unico modo possibile, Napolitano ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale per difetto di attribuzione. Spetterà alla Consulta decidere. Di certo non ci sono procure “sotto assedio” e, come ho spiegato, su questo caso specifico, non c’entra né la Ragione né il segreto di Stato.
L’ultimo capitolo di questa complicata vicenda è la presunta “nuova trattativa” Stato-mafia. Così alcuni giornali hanno definito le visite che il sen. Lumia (Pd) e l’On. Sonia Alfano (Idv) hanno compiuto negli ultimi mesi a boss della mafia come Bernardo Provenzano.
Bisogna stabilire per quale ragione questi due parlamentari si sono recati in prigione. C’è un mandato delle camere? Dovevano riferire a qualche commissione? Se la risposta è no, hanno violato il loro compito e sono passibili di sanzione. Nessun parlamentare, all’oscuro delle istituzioni, può decidere di andare a negoziare con un boss incarcerato. È bene che ciascuno inizi a stare al proprio posto e a svolgere la propria funzione altrimenti saremo destinati al caos.
(Carlo Melato)