«Ci attendono mesi di grande confusione politica e istituzionale. I partiti non hanno sciolto la maggior parte dei nodi che erano chiamati a sciogliere e l’emergenza della crisi economica non è di certo passata. Per questo motivo anche i vantaggi relativi che oggi alcune forze sembrano avere sulle altre valgono quello che valgono». Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera, non crede alle facili previsioni, ma in mezzo alla tempesta indica alcuni punti fermi. «Pensare che la parentesi del montismo si possa chiudere come se nulla fosse, con i professori che tornano all’Università e i banchieri che ricominciano a fare il loro lavoro, mi sembra molto difficile. Il ritorno di Silvio Berlusconi sembra inevitabile, anche se non sappiamo ancora in quali forme e, tutto sommato, non sembrano esserci delle basi solide su cui si possa costituire una Grande coalizione. Certo, le incognite non mancano, dalla legge elettorale alla salute della nostra economia. Per questo motivo le tattiche messe in atto dalle forze politiche vanno valutate per il loro reale peso all’interno di uno scenario piuttosto instabile».



Quando parla di “vantaggi relativi” si riferisce alle iniziative messe in campo dal Pd di Pier Luigi Bersani?

La politica per certi versi è come il calcio. Quando stai vincendo non è semplice capire se stai giocando bene tu o se sono gli avversari ad essere in difficoltà. Lo stesso vale i democratici. Oggi hanno un vantaggio innegabile, in forza di alcune novità che sono emerse seppur faticosamente (il nuovo rapporto che si è venuto a creare con il centro e con la sinistra di Vendola), ma soprattutto per la grave crisi del centrodestra di cui ancora non si intravvede una soluzione.



Il progetto del segretario del Pd è ormai chiaro?

Direi di sì. Bersani vuole guidare una coalizione di sinistra-centro. Nel suo campo ha realizzato un’operazione piuttosto difficile: scorporare Vendola da Di Pietro, limitando al massimo le reazioni del gruppo dirigente di Sel. È chiaro che il suo disegno si può compiere se qualcun altro si prende la briga di mettere ordine al centro.

L’incontro con Casini è quindi una prospettiva realizzabile?

Direi di sì, anche se tutto ciò che si sta muovendo in quell’area va molto al di là dell’Udc. I movimenti, le allusioni, le dichiarazioni di alcuni personaggi che sembrano sempre pronti a scendere in campo, o che non sono intenzionati a tornare ad altre occupazioni, lasciano infatti intendere che qualcosa di nuovo possa nascere. Certo, se questo dovesse avvenire, la partita di Bersani sarebbe ancora più difficile, perché questo nuovo soggetto andrebbe inevitabilmente a rivolgersi a quello che solitamente viene definito “elettorato moderato” di centrodestra.
La mia impressione, in tutta onestà, è comunque che, anche se questo progetto (“cattolico, ma non solo”) viene coccolato come un bimbo in fasce, per ora sia molto più sui giornali che nella realtà.



Il centrosinistra che si va costruendo secondo lei sta facendo i conti con ciò che resterà dell’esperienza Monti al termine della legislatura?

Nessun progetto politico, a mio avviso, può prescindere da questo. Dire cosa farà personalmente l’attuale premier è molto difficile, ma questo governo (e i gruppi dirigenti che ha espresso) non lascerà i posti di comando tanto facilmente. Per i professori il vero ostacolo sono le elezioni, un campo su cui non sono abituati a misurarsi. Non a caso, leggendo qualche dichiarazione, sembrano quasi viste come una “turbativa” fastidiosa. Il che è curioso…

Nel frattempo chi parlava di Grande coalizione per il 2013 retrocede sull’ipotesi di un patto programmatico, al di là di chi sia il vincitore.

La Grande coalizione in Italia non mi sembra un’ipotesi percorribile. Quando se ne parla la mente corre al “compromesso storico”, all’esperienza tedesca del ’69 e a quella più recente della Merkel. E direi che le differenze non mancano.

A cosa si riferisce?

Innanzitutto nemmeno Spd-Cdu la dichiaravano prima, ma affrontavano, com’è ovvio, una campagna elettorale “l’un contro l’altro armati”. Dopodiché nascevano sulla base di due circostanze possibili: l’emergenza, o un risultato elettorale che rendeva il Paese altrimenti ingovernabile. Non solo, alla base dovevano esserci alcune condizioni indispensabili: la presenza di due forze politiche solide, intorno al 30%, e un clima politico basato sul riconoscimento dell’avversario. 

Esattamente ciò che manca in Italia.

Infatti. Vent’anni di bipolarismo selvatico e selvaggio non si superano in qualche mese, i due principali partiti sono molto lontani dalle percentuali che dicevamo prima e non hanno certo la solidità che un tempo avevano il Pci e la Dc. Non solo, al minimo accenno d’intesa, nel nostro Paese si alza uno schieramento trasversale che va dalla Santanché a Grillo, fino a Di Pietro e Travaglio al grido di “siete tutti ladri in divisa”… 

Alla luce di tutto ciò il nodo della legge elettorale diventa ancora più importante?

Direi proprio di sì. In queste settimane si è parlato di un eventuale “premio di governabilità” da assegnare al partito o alla coalizione, come se la differenza fosse di poco conto.
Non è così. Se la nuova legge (ammesso che la rinnovino) dovesse premiare la coalizione il centrosinistra di Bersani e Casini di cui parlavamo prima non esisterebbe già più.

Per quale ragione?

L’Udc non andrà mai al voto con il Pd. L’appuntamento semmai è per il giorno seguente. 
Nell’ipotesi opposta, se viene premiato il partito che prende più voti, restano invece due strade percorribili: o si garantisce la governabilità con un premio di maggioranza ancora più inaudito di quello previsto dal Porcellum, oppure si abbandona quella strada aprendo però le porte alla possibilità di un risultato poco chiaro. La conseguenza, come ovvio, sarebbe la riproposizione di un governo “non politico”, che in Italia rischierebbe così di passare dall’eccezione alla regola.  

Da ultimo, prima ha parlato della variabile Berlusconi. Il suo ritorno è ormai scritto? Il passaggio del testimone non ha funzionato?

Guardi, la successione ad Alfano era destinata a fallire, non tanto per gli eventuali demeriti dell’attuale segretario, quanto per una ragione più profonda. Il Pdl ha una storia particolare e una caratteristica che rende questo partito pressoché unico al mondo: la sua leadership non è contendibile. Il Popolo della Libertà è Berlusconi, nel bene e nel male. E come in tutte le monarchie assolute, se non c’è un erede designato o un passaggio ereditario, la tendenza più naturale è quella all’implosione piuttosto che alla successione. 
Non c’è quindi da stupirsi che il Cavaliere abbia deciso di tornare per salvare la proprio creatura politica. Con tutto ciò che ne consegue, ovviamente, sul piano dello scontro di cui parlavamo prima…

(Carlo Melato)