Nonostante i ripetuti appelli del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché la politica metta mano alla legge elettorale, il Porcellum non ha ancora trovato un sostituto. A riaccendere i riflettori su un dibattito che da mesi si trascina stancamente le recenti dichiarazioni di Umberto Bossi. «Non faremo da capro espiatorio» ha intimato il Senatùr a Berlusconi e Bersani, fiutando il pericolo di un accordo Pd-Pdl che penalizzi eccessivamente la Lega Nord.
«Per inquadrare il problema e capire cosa c’è in gioco è necessaria una premessa – spiega a IlSussidiario.net il professor Stefano Bruno Galli, politologo e docente di storia delle dottrine politiche all’Università statale di Milano -. La legge elettorale non è l’essenza di un sistema politico ed è sbagliato concepirla come lo strumento privilegiato per ottenere i miti rincorsi da sempre: stabilità e governabilità.
La legge elettorale è un “motore” extracostituzionale, nel senso che si pone al di fuori della Carta e serve per farla funzionare bene. Per mandare a regime quel sistema politico-istituzionale disegnato dalla Costituzione repubblicana. Se assumiamo questa come funzione essenziale della legge elettorale, dobbiamo allora rapportarla alle dinamiche in atto nella politica italiana degli ultimi anni e ai tentativi che sono stati fatti per conferire alla Costituzione una sua dimensione operativa più attinente alla realtà del Paese».
E quali dinamiche si riferisce?
La tendenza in atto da almeno quindici anni, anche per effetto del ruolo della Lega, è quella di un sistematico e progressivo federalizing process. Un processo di federalizzazione che ha il deliberato obiettivo di tenere sotto controllo i conti pubblici, arginare gli sprechi, riconoscere sempre più larghe prerogative di autonomia e di autogoverno territoriale. È evidente che questo processo, di fronte al quale il governo Monti è insensibile e si pone in controtendenza, deve comunque assumere una sua rappresentanza a livello istituzionale, progettando un’assemblea territoriale in cui le istanze dei territori siano rappresentate. È il Senato delle Regioni.
Occorre assecondare le tendenze in atto a livello politico e istituzionale negli ultimi anni.
Secondo lei, servirebbe quindi una legge elettorale “federalista”?
Mi limito a dire che la Lega propone un sistema elettorale con uno sbarramento su base regionale. È penso che sia legittimo per un partito territoriale di raccolta, che mira a rappresentare e a tutelare le istanze del Nord nel suo complesso.
Secondo lei i principali partiti andranno in tutt’altra direzione, magari escogitando un sistema che tagli fuori gli outsider alla Grillo?
Guardi, la politica è una cosa troppo seria per essere affidata ai comici. Dietro la legge elettorale c’è una questione teorica enorme, quella dell’istituto della rappresentanza e, dunque, del funzionamento del sistema democratico.
Oggi nessuno rappresenta più nessuno: s’è rotto il sistema rappresentativo che è il perno sul quale si regge la democrazia. Il distanziamento deriva in parte dall’oggettiva incapacità dimostrata dai partiti nella selezione della classe politica, vale a dire dei candidati capaci e preparati da proporre nelle competizioni elettorali. È qui che affonda le sue radici il successo dei grillini. Rappresentanza e selezione della classe politica possono essere ricostruite solo a partire dalla dimensione territoriale. È infatti il presidio del territorio che consente di rifondare il principio della rappresentanza e promuovere processi selettivi in seno alla classe politica, grazie al contributo dei cittadini-elettori, giudici insindacabili del buon operato dei pubblici amministratori.
I grillini si sconfiggono con la qualità dei candidati, che poi vuol dire qualità della classe politica, non con le alchimie della legge elettorale.
Nonostante i ripetuti reclami, la classe politica non ha ancora provveduto a sostituire il Porcelllum. Secondo lei quali sono i difetti più importanti?
Possiamo dire che l’attuale legge ha funzionato dal punto di vista politico e parlamentare. Basti pensare all’esperienza del governo Prodi contrapposta a quella del governo Berlusconi. Di fronte a coalizioni compatte e coese ha garantito stabilità.
Il problema di fondo però è quello delle liste bloccate, che producono assemblee di cooptati. Ciò di fatto esclude i cittadini, che non possono incidere nei processi selettivi, e scava un solco profondo tra classe politica e società civile, soprattutto per la modestissima qualità della classe politica.
Secondo lei quale modello si sposa meglio con il quadro politico di questo Paese?
La svolta del maggioritario, alle origini della Seconda repubblica era nella natura delle cose. Il bipartitismo imperfetto che ha caratterizzato l’esperienza politica e parlamentare della Prima repubblica era una sorta di bipolarismo tra Dc e Pci. Il dato di fondo è che, ancora oggi, ci troviamo di fronte a un bipolarismo che non è bipartitico, ma pluripartitico. E con una forte convergenza al centro, una sorta di generalizzata “ansia di centro” riscontrabile tanto nella destra quanto nella sinistra per andare a intercettare i voti moderati che rappresentano l’essenza della cultura politica del Paese. Ma questa dinamica si contrappone allo spirito del maggioritario.
Quali soluzioni si sente di proporre?
Innanzitutto, c’è da dire che il nodo non viene sciolto perché ogni partito ha in mente la sua legge elettorale sulla base di stime numeriche che, in linea di principio, dovrebbero dargli ragione e accreditarlo di più dal punto di vista politico. E così tutto diventa oscuro e nebuloso.
Passiamo alle proposte. Dei nominati abbiamo già parlato. Il problema della stabilità dell’esecutivo è centrale sin dal “decalogo” di Spadolini dei primi anni Ottanta. In ordine al premio di maggioranza, che sarebbe necessario per consolidare gli esecutivi, bisogna sottolineare con forza che la stabilità è frutto della capacità di governo. Non si ottiene per decreto, ma solo abbandonando le ideologizzazioni e le partitizzazioni dei problemi politici.
Tenendo conto dei tempi ridotti ancora a disposizione della politica, cosa auspica?
Credo che a questo punto sia ragionevole ipotizzare un maggioritario con sbarramento, magari territoriale, e preferenze per la selezione della classe politica allo scopo di rifondare e dare nuova linfa all’istituto della rappresentanza.
Conoscere in anticipo le coalizioni che si candidano a governare il Paese e anche il nome del futuro Capo del Governo sono due elementi irrinunciabili per il corretto funzionamento del sistema democratico. Ma il tempo è davvero esiguo. E temo che la classe politica, arroccata nell’accordo Pdl-Udc-Pd, voglia andare alle elezioni con questa legge elettorale.