La Regione Sicilia va verso le elezioni di ottobre in un clima torrido e non solo per ragioni di meteorologia. Calogero Mannino, un politico di lunga data, un uomo di grande esperienza che conosce bene i meccanismi della politica, guarda con profonda amarezza quello che sta avvenendo e i possibili sviluppi della situazione siciliana. Si è di fronte all’epilogo della esperienza di Raffaele Lombardo, che si dimette e resta in carica per l’ordinaria amministrazione. Un’esperienza contrassegnata da un “ribaltone”, con Lombardo che è passato da un’alleanza di centrodestra, con Pdl e Udc, a una con un pezzo di Pd.
Che dire, onorevole Mannino?
Vorrei dire che la confusione in questo momento regna sovrana. E con questo epilogo, con quello che è accaduto in questi anni, non so proprio come si possa trovare una soluzione a questa crisi anche dopo il voto. Ci sono le contraddizioni interne al Partito democratico, che non è in grado di ricapitolare una candidatura. Insomma non ha proposte. Ci sono problemi nell’Udc. C’è l’interrogativo di comprendere che cosa possa fare il gruppo di Gianfranco Micciché. C’è la crisi e la lacerazione interna al Pdl. Guardi comunque che la fotografia della Sicilia non è che la ripetizione della fotografia dell’Italia.
Ma in un momento come questo, di grave crisi economica, quali ripercussioni può avere la crisi politica a livello sociale?
Beh le avvisaglie ci sono già state in primavera, con una protesta di carattere sociale, quella dei cosiddetti “forconi” che è stata subito demonizzata, liquidata in questo modo e presa in scarsa considerazione. C’è da pensare che di fronte a tutto quello che sta accadendo e a quello che può accadere se non c’è una inversione di tendenza, al limite di questa estate ci possa essere qualche cosa di più che la precedente manifestazione di protesta.
E’ lo sfondo economico che sta diventando inquietante?
Non si muove più nulla nell’economia siciliana. Bisogna tenere presente che in questa economia se fallisce una azienda, meccanica o di altro tipo, avviene una perdita grave. La Sicilia non ha tante aziende come ci sono nelle province del Nord. Qui ce ne sono poche e quindi anche una chiusura, un fallimento diventa inevitabilmente drammatico. In sostanza, la crisi che è gravissima in tutta Italia e non solo, in una regione come la Sicilia diventa ancora più grave e mette ancora più in crisi qualsiasi tipo di tessuto economico e sociale. Osservando oggi complessivamente la situazione siciliana, si può dire che la Sicilia è l’ultimo vagone del treno Italia e se questo non riparte, se in altri termini l’economia non si muove, l’ultimo vagone del treno rischia pure di sganciarsi dal convoglio.
Esistono in tutta Italia problemi drammatici, in Sicilia sono più acuti, come quello del credito ad esempio.
In questo momento non c’è nessuna banca che faccia credito a imprese e famiglie. Qui i rubinetti sono del tutto chiusi. La Sicilia, nel sistema bancario italiano, è diventata una sorta di terminale di due grandi banche come Intesa e Unicredit, le quali si finanziano alla Bce, guardano i parametri di Basilea. La Sicilia da questo mercato del credito è completamente tagliata fuori. E qui bisognerebbe ritornare alle riforme del sistema bancario fatte tra il 1992 e il 1994, quelle che hanno abolito la legge del 1936. Riforme sbagliate, in cui le banche hanno fatto tutto e di più. Il risultato di questo lungo processo, con la crisi che sta mettendo in ginocchio tutti, è che non c’è credito più per nessuno. Questa è la realtà. Per cui, quando dicevo che si guarda alla ripartenza del treno Italia, significa aggrapparsi a un’ultima speranza in questo tipo di situazione.
Con un simile quadro politico, sociale ed economico, sembra quasi inutile parlare delle iniziative di alcuni magistrati.
Qui bisognerebbe riferirsi ai personaggi di un romanzo. Alcuni di questi magistrati, non di certo tutta la magistratura, sembrano vivere nel castello dell’autoriferimento.
(Gianluigi Da Rold)