«È innegabile che la ripetuta sollecitazione del Presidente della Repubblica ad approvare in Parlamento modifiche costituzionali non ha trovato riscontri». Con queste parole, ieri sera, è arrivato dal Colle l’ennesimo ammonimento, il terzo nell’ultimo mese, a una classe politica alle prese con le ultime polemiche che precedono la pausa estiva. «Se facciamo un bilancio serio c’è poco da stupirsi – dice a IlSussidiario.net Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera –. Quando nacque il governo Monti venne concordata una divisione di ruoli: all’esecutivo le riforme economiche (pensioni, lavoro e liberalizzazioni), ai partiti quelle politiche (dalle riforme istituzionali, alla nuova legge elettorale fino alla riforma dei partiti). La verità è che Mario Monti ha fatto il suo dovere, senza essere esente da critiche, mentre la politica non ha fatto nulla, se si esclude il finanziamento pubblico dei partiti sull’onda di due scandali imponenti. Il conto di questa situazione lo pagherà comunque la classe politica che rischia di presentarsi alle prossime elezioni senza aver dimostrato una capacità di autoriforma tale da giustificare un nuova richiesta di fiducia».



Anche l’ipotesi di una nuova legge elettorale proporzionale con un premio di governabilità del 10% sembra troppo poco?

Vede, sostituire l’attuale legge è una necessità, da un lato perché non dà la possibilità agli elettori di scegliere gli eletti, dall’altro perché non è più compatibile con l’attuale sistema politico. Fino a quando c’erano due coalizioni infatti un premio di maggioranza di quelle dimensioni poteva anche essere accettabile, ora che non ci sono più rischierebbe di falsare la volontà popolare. Per intenderci, un partito del 25% che arrivasse primo potrebbe ritrovarsi con il 55% dei seggi alla Camera ed eleggere addirittura da solo il Presidente della Repubblica al quarto scrutinio. Fatta questa premessa, la proposta che stanno portando avanti Pd e Pdl non mi convince.



Per quale motivo?

Innanzitutto perché il premio su collegio nazionale non esiste in nessun altro sistema. Dopodiché, il sistema scelto, più che aggiungere un bonus gratuito a un proporzionale puro, dovrebbe rispettare il volere degli elettori trasformandolo adeguatamente in seggi. La scorciatoia che è stata indicata, invece, ci porta direttamente al sistema greco che, non a caso, non ha funzionato.

Passando agli schieramenti, la polemica tra il Pdl e i tecnici sulle parole di Monti al Wall Street Journal sembra archiviata. Lei come ha letto questa vicenda?

Mi è sembrata una tempesta in un bicchier d’acqua. Da un lato è difficile ipotizzare un disegno strategico del premier attraverso un’intervista rilasciata più di un mese fa. Dall’altro Monti ha detto comunque una cosa vera: lo spread a 440 fa ancora paura, ma se non ci fossero state le dimissioni di Berlusconi a questo punto saremmo già sotto tutela, magari con un programma di assistenza simile a quello di Grecia e Portogallo. 



La reazione del Popolo della Libertà ha comunque evidenziato la grande confusione che regna nel partito.

A cosa si riferisce? 

Da un lato c’è il gruppo che lavora faticosamente attorno ad Alfano per costruire una linea politica. La proposta di aggredire il debito pubblico con una cura shock, può non essere condivisibile, ma è un’idea che comunque  si contrappone alla patrimoniale del Pd. Purtroppo però questo impegno è vanificato dalla credibilità perduta da questo soggetto politico, sia perché governava quando è scoppiato l’incendio, sia perché è ancora ostaggio di Berlusconi. Il Cavaliere è ancora lì a presidiare il suo elettorato, ma nessuno crede davvero che possa governare altri 5 anni. 

Sull’altro fronte, la novità dell’intesa tra Pd e Sel dà una nuova fisionomia alla coalizione di centrosinistra, ad oggi priva dell’Italia dei Valori. 

È vero, ma l’operazione Bersani-Vendola, a mio avviso, è sub iudice. Dipende tutto, infatti, da ciò che accadrà al nostro debito pubblico. Se l’Italia fosse costretta a firmare un memorandum d’intesa con l’Europa l’asse Pd-Sel salterebbe immediatamente perché Bersani dovrebbe accettarlo, mentre Vendola lo rifiuterebbe. E, in uno scenario simile, la competizione elettorale si ridurrebbe a un referendum tra pro-euro e anti-euro. La vera novità è un’altra.

Quale?

La disponibilità di Pier Ferdinando Casini a fare un governo con il Pd, dopo le elezioni. Fino a ieri aveva proposto le larghe intese, oggi pensa a un governo di centrosinistra. Vedremo se anche questa ipotesi reggerà.
Per quanto riguarda Di Pietro, invece, mi sembra l’epilogo più naturale. Da tempo il leader dell’Idv ha scelto di inseguire il voto grillino e ora sta solo dando fondo alla sua notevole capacità demagogica. L’ex pm dimostra così, ancora una volta, di avere uno scarso senso delle istituzioni e di essere un uomo democraticamente inaffidabile. Troppe volte la sinistra lo aveva salvato, permettendogli di tornare in Parlamento. Questa volta, per fortuna, l’ha lasciato andare… 

Per concludere, una domanda su Monti. Le sue ultime mosse ci dicono che vuole essere ritenuto indispensabile anche per il 2013? 

È troppo presto per qualunque strategia. La questione per il Professore è molto semplice: se dovesse avere successo potrà fare tutto ciò che vuole, dal Presidente del Consiglio, al Presidente della Repubblica fino alla guida dell’Europa. Se invece dovesse fallire verrebbe messo da parte. D’altronde successe anche a Churchill, anche se aveva vinto la guerra… 

(Carlo Melato)