Giorgio Napolitano si è esposto in prima persona dando vita ad una maggioranza imprevedibile tra i principali partiti antagonisti dell’attuale sistema maggioritario e ciò ha causato una reazione che si è tradotta in una campagna contro di lui proveniente sia da destra sia da sinistra.
Il fatto che tale soluzione – il governo extraparlamentare di Monti – sembra dare risultati positivi diffonde infatti la sensazione di un “invecchiamento” dei principali partiti e dello stesso sistema maggioritario su di essi basato e da essi praticato. Se cresce la tesi di un Monti bis – realistica o irrealistica che sia – ciò dipende dal fatto che è sempre più diffuso il timore che il “dopo Monti” si traduca in un ritorno al passato: i tifosi della riedizione o di un governo Prodi o di un governo Berlusconi, anche messi insieme, non sembrano maggioritari. Nel complesso leader e ministri dei “vecchi” partiti che hanno gettato la spugna nel momento più drammatico rischiano di essere considerati i responsabili di una sorta di “otto settembre” della Seconda Repubblica.
Il consenso a Monti ha ragioni molto concrete ed archivia l’idea della politica-spettacolo secondo cui le priorità sono l’”immagine” e l’”evento” (come si sorride, la ‘location’ del comizio, ecc.) nel momento in cui la questione principale è l’emergenza economica ovvero occupazione e risparmi.
Un dato non secondario è rappresentato dal fatto che il debito pubblico si trova, per la maggiore parte, nelle mani delle famiglie italiane e mentre nei mesi scorsi esse temevano che i loro Btp stessero perdendo valore in caduta libera, ora stanno tirando un respiro di sollievo. I beneficiari di tale mutato stato d’animo non sono Pd e Pdl, ma Napolitano, Monti e Draghi in quanto essi appaiono protagonisti di una ritessitura di rapporti internazionali che ha consentito all’Italia un recupero positivo. Il fatto che essi non abbiano alle spalle alcun partito non sembra delegittimare loro, ma, semmai, gli attuali partiti.
Considerando la rilevanza degli “incerti” e della “sfiducia” che concordemente segnalano tutti gli istituti di sondaggio emerge come estremamente diffuso il desiderio di una discontinuità di cui il Quirinale si è fatto interprete e promotore. Ed oggi campagne per il discredito dell’attuale inquilino del Quirinale e per l’elezione del suo successore si intensificano e si intrecciano da destra e da sinistra. Battaglia politica e legge elettorale ruotano intorno non alla governabilità del Paese, ma alla costruzione della platea parlamentare che eleggerà il nuovo Capo dello Stato. Sia il Pd sia il Pdl radunano infatti chi avversa i provvedimenti di Monti dalla a alla z, chi li approva dalla a alla z e chi li approva e disapprova a giorni alterni. Sostanza: prima si punta al Quirinale, poi il resto – la maggioranza di governo – segue di conseguenza.
Mentre il centro-destra appare perdente sale quindi la tensione tra centro-sinistra e Quirinale che agli occhi dei sostenitori di Bersani appare il principale responsabile del rinvio di una sicura ascesa a Palazzo Chigi.
Prima, nell’ottobre 2010, Napolitano ha bloccato il voto di sfiducia dando priorità alla legge finanziaria di Tremonti consentendo così a Berlusconi di recuperare la maggioranza. Nel novembre 2011, quando Berlusconi getta la spugna, Napolitano sbarra la strada sia al “ribaltone” sia alle elezioni anticipate ed impone un accordo tra i due principali partiti antagonisti nell’auspicio che di fronte alla gravità della situazione possano prevalere ed incontrarsi le anime riformiste e più responsabili presenti in entrambi i campi. Oggi registriamo il costante e talora decisivo appoggio del Quirinale alle misure economiche e ai rapporti internazionali di Palazzo Chigi mettendo in agenda incontri con le parti sociali e con gli interlocutori esteri.
Tutto ciò ha portato il Quirinale nel mirino delle polemiche soprattutto della estrema sinistra. Ma Giorgio Napolitano non ha fatto marcia indietro ed, anzi, si è ulteriormente esposto con tutta la sua autorevolezza bloccando chi puntava ad elezioni anticipate in autunno in quanto il Capo dello Stato non ha voluto correre il rischio di buttare all’aria l’azione di Monti e Draghi a tutela dell’Italia nell’eurozona. A ciò si è aggiunta l’insistenza di Napolitano sul mutamento della legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, che lo stesso vertice del Pd – sulla base dell’accordo stretto con Vendola – non risulta più molto interessato a cambiare.
Sempre nel quadro di tutelare stabilità e credibilità nazionale infine il Quirinale è apparso in conflitto con l’estremismo giudiziario che pretende di tenere la vita parlamentare e democratica in balìa di contropoteri e di avventurieri extraparlamentari anche a rischio “default” dell’Italia.
Non è un Napolitano improvvisato. Alle spalle c’è la storia politica di un dirigente che anche nel Pci osteggiava il “berlinguerismo” e cioè l’attacco ai partiti e le maggioranze trasversali, sedicenti degli “onesti”, sponsorizzate da contropoteri extraparlamentari. Il recente discorso contro la “demonizzazione dei partiti” lo conferma nuovamente.
E’ così che su Napolitano si registra la spaccatura sia nel centro-sinistra sia nel centro-destra tra “giustizialisti” e “garantisti” con una convergenza parallela di quotidiani attacchi al Quirinale da parte della sinistra forcaiola e della destra scandalistica.
Sullo sfondo attacco a Napolitano e candidatura di Prodi si stanno sviluppando in modo conseguente. Prodi – sponsorizzato dall’area Pd-De Benedetti – è l’uomo delle privatizzazioni che non hanno diminuito il debito pubblico, della moneta unica disarmata e dell’“allargamento-colabrodo” dell’Unione Europea. Un’altra stagione di Italia commissariata e in svendita può essere alle porte. Di fronte a questa escalation della sinistra il berlusconismo sembra piuttosto intontito e solo alcuni – come Formigoni e Sacconi – hanno difeso il Quirinale fino ad auspicare una proroga di Napolitano. D’altra parte è anche vero che il vertice del Pd non manca di fragilità dato che appare destabilizzato sulla destra dal trentenne Matteo Renzi e sulla sinistra dal comico Beppe Grillo.