(Da ItaliaOggi di martedì 11 settembre. Di Luigi Chiarello)

Oggi come ieri, dinanzi alla crisi mondiale, tornano a confrontarsi le due grandi vie del capitalismo. Lo stato in economia (socialdemocrazia) e lo stato mero regolatore (liberismo). Lei da che parte sta?

Io sto con la sussidiarietà coniugata con la solidarietà: il vero sviluppo nasce “dal basso”; l’uomo, singolo e associato, è il soggetto e l’oggetto della sua iniziativa sociale. Nelle correnti di pensiero che lei cita, tutto sembra nascere da meccanismi. Ma i meccanismi hanno fallito perché non hanno tenuto adeguatamente in conto il soggetto propulsore della crescita: la persona, come afferma la scuola economica austriaca che fa capo al premio Nobel 1974 von Hayek. La sussidiarietà nasce da un’antropologia positiva, contraria a quella nata nel 600 per cui il fondamento della società umana è l’egoismo individuale che in qualche modo si risolve in benessere comune grazie ai meccanismi di mercato (la mano invisibile di Adam Smith).



Il suo uomo, invece, com’è?

E’ l’opposto: positivo e creatore, ultimamente determinato dal desiderio di essere, di costruire, con il sostegno di ideali e fedi, per sé e per gli altri.

Esempi?

Prenda Steve Jobs. In lui non c’era solo l’ansia del profitto, ma il gusto di fare cose belle, oltre che utili per la vita del potenziale cliente. Questo è il cuore dello sviluppo. Statalismo e liberismo, invece fanno fuori il soggetto propulsore: il primo togliendogli l’iniziativa, il secondo misurandola solo con un criterio di breve respiro, il profitto. Queste ideologie sono insufficienti a generare nuova crescita e oltre tutto sono manichee: concepiscono l’uomo positivo solo nel non profit.



In una intervista al Corriere lei ha usato questa immagine: il nostro paese è come i Prigioni di Michelangelo. La declini su un terreno economico.

I Prigioni di Michelangelo sono uomini con muscoli vigorosi, ma imprigionati nella roccia. Dobbiamo liberare l’energia di quei muscoli. Ma come? Di cosa sono fatti quei muscoli? Di desiderio insopprimibile, di educazione e di talento. Che, poi, sono anche valori alla base della buona imprenditoria. Steve Jobs e Bill Gates, Bill Hewlett e David Packard, sono persone piene di spirito d’iniziativa e creatività. In Italia, non sarebbero mai usciti dai garage dove hanno cominciato.



In molti pensano che a strozzare la crescita sia l’eccesso di beni a disposizione. Altri dicono che è il basso livello delle retribuzioni. Lei?

Secondo me è la sfiducia e il borghesismo che, ad esempio, lasciano sacche di rendita enormi che non vengono rimesse in circolo.

Cosa intende per rendita?

Quanto costa la burocrazia all’impresa italiana? E la presenza di lavori improduttivi nelle p.a.? Quanto costa l’attuale situazione del mercato del lavoro? E certa formazione professionale: serve per formare i lavoratori o per occupare il proprio personale? Guardi ad alcune municipalizzate: lavorano a costi più alti del mercato, questa si chiama rendita. Oggi non possiamo più permettercela.

Cosa propone?

Occorre finirla con provvedimenti generici. Occorre abbassare le tasse a quei soggetti che investono, occupano, esportano. Così si potrà rimettere in moto, nel medio termine, tutto il Paese.

I soggetti in azione?

Vuole degli esempi? Mapei, Ferrero, Luxottica. Se vanno forte, il governo faccia politiche industriali in funzione loro. Non generalizzate. Cambiamo settore: se la sanità, in Lombardia, costa all’ente pubblico il 5% del Pil regionale, mentre la media nazionale è 6,8%, allora il governo non faccia tagli orizzontali. Ma tagli dove si spreca. I provvedimenti vanno fatti in rapporto al soggetto in azione.

Torniamo ai consumi. La leva fiscale è stata fortemente utilizzata dagli ultimi esecutivi. Nessuno escluso.

E’ così. E deprime l’economia. Non so se Monti potesse far diversamente. Le resistenze al taglio della spesa pubblica sono infinite. Ma questa fase va chiusa. Il governo non deve più intervenire sull’aumento delle entrate, ma sulla riduzione delle spese. A questo punto bisogna fare una scommessa.

Quale?

Scommettere che ciò che si perde in termini di spesa pubblica lo si guadagna in nuovo sviluppo che crea nuovo lavoro: più investimento, meno rendita.

 

Nessun governo, finora, ha avuto il coraggio di attaccare le rendite

 

Tutti gli esecutivi della seconda repubblica, come quelli della prima, hanno avuto paura che tagliando la spesa pubblica si ponesse fine al welfare universale, infierendo sulle fasce più deboli come avviene negli Usa. Così non hanno attaccato le rendite.

 

Berlusconi ha avuto tutto il consenso necessario. Perché non ha tagliato la spesa pubblica?

 

Guardi, uno dei problemi più grossi che oggi sconta l’Italia è proprio la mancata rivoluzione liberale che avrebbe dovuto fare il governo Berlusconi. Gli italiani hanno dato al Cavaliere la maggioranza più ampia della storia repubblicana, credo per questo. Al di là dei suoi noti limiti e dei limiti dei suoi governi, comunque, il problema è che non può esserci rivoluzione partendo dall’alto. Bisogna rispettare il principio di sussidiarietà: liberare le energie presenti nel corpo sociale. Invece che lavorare per aumentare libertà e competizione virtuosa, si è pensato che bastasse rinforzare il potere di un uomo solo al potere.

 

Lo schema dell’uomo della provvidenza ha fallito?

Nel fare sussidiarietà si perde potere politico. Perché viene meno la mediazione.

 

Quale?

Nel 1987, don Giussani fu invitato ad Assago a tenere un discorso al congresso della Dc lombarda. Erano presenti i maggiorenti del partito. Don Giussani disse loro: “La politica non ha il compito di prendere i desideri delle persone e organizzarli. Ma deve sostenere le formazioni sociali in cui questi desideri si esprimono, secondo il principio di sussidiarietà”. Al governo Berlusconi è mancata la valorizzazione di ciò che è fuori dalla politica: del resto, tutti i partiti, nessuno escluso, negli ultimi 20 anni si sono contraddistinti per un distacco progressivo dai corpi intermedi che determinano crescita ed equità dal basso, con i loro ideali e interessi.

 

Gli interessi?

 

Si. La politica deve essere una rappresentazione trasparente di ideali e interessi. I deputati devono lavorare nelle commissioni parlamentari per questo: rappresentare ideali e interessi delle persone, dei corpi sociali, delle aziende, dei territori. Eppure, secondo certa ipocrisia dominante, tutto questo è clientelismo. Invece no! E’ il cuore della politica: la rappresentazione di ideali e di interessi. Poi succede che spunta una direttiva Ue che ci danneggia e ad esempio, c’è chi urla: “ci uccidono la pizza col forno a legna”. Ecco, il vero lavoro politico legislativo da fare è questo; tutelare gli interessi: la nostra pizza col forno a legna…

 

Il deputato come espressione di interessi di parte?

Di interessi e ideali, in modo trasparente e costruttivo. La questione cruciale è che l’interesse sia difeso per un bene di tutta la collettività, cioè per un ideale vero e non per una rendita corporativa appunto. Ciò avviene se si premia chi fa, come dicevamo prima.

 

Sul lavoro lei ha detto “bisogna distinguere nettamente tra precariato e flessibilità”. Come?

 

Uno dei miei maestri, Marco Martini, ha coniato questo slogan: “Dal posto al percorso”. In alcuni settori, la durata degli impieghi a tempo determinato finisce per essere più lunga di quella dei lavori a tempo indeterminato. Succede perché la gente vuole cambiare per migliorare. Nei settori più avanzati l’obsolescenza media della tecnologia è 5 anni: molti assunti stanno in un posto per imparare una nuova tecnica e poi vanno altrove per migliorarsi. Ecco, questo non è precariato, è flessibilità.

 

Ma in questi casi è la dinamica del mercato che fa la differenza tra precariato e flessibilità.

 

E’ così. E la normativa deve cogliere questa differenza. Deve capire quando si usano i contratti a termine per abbassare solo il costo del lavoro e quando, invece, certi contratti sono positivamente flessibili, in funzione di un percorso. In Lombardia, in media, il 79% dei lavori a tempo determinato diventa, dopo 42 mesi, a tempo indeterminato. Una dinamica interessante.

 

Un paradiso…

 

Ovviamente no. C’è poi un secondo mercato del lavoro, quello dei deboli, dei 50enni espulsi dalle aziende. Questo mercato ha necessità di maggiori tutele.

 

La riforma del lavoro, firmata Elsa Fornero, ha distinto il lavoro precario da quello flessibile?

 

No, perché ha irrigidito l’entrata nel mercato del lavoro. Oggi in Italia il tasso di attività, che misura la percentuale di cittadini che cercano lavoro, è il più basso d’Europa. Molta gente il lavoro neanche lo cerca. La riforma Fornero questo non lo ha tenuto presente.

 

Perché?

Perché la discussione si è polarizzata sull’art. 18. Ma è inutile discutere dell’art. 18, se si mettono paletti rigidi all’entrata. Così, si finisce per ostacolare il lavoro dei giovani, pensando di tutelarli. Poi, la riforma Fornero ha ignorato anche un altro aspetto: il ruolo delle agenzie interinali.

 

Le agenzie interinali?

 

Sono una forma alternativa al collocamento pubblico, funzionante. E’ un collocamento di tipo privato-sociale, svolto da intermediari. La riforma ne parla pochissimo. E’ rimasto altresì irrisolto il dibattito tra politiche passive sull’occupazione, cioè sovvenzioni e cassa integrazione, e politiche attive sull’occupazione, come le agenzie private e non profit che aiutano al ricollocamento. Il ministro Fornero dice spesso che lo Stato non può assicurare posti di lavoro, ma che deve assicurare la possibilità di trovare un lavoro. Lo dice, ma su questo deve fare di più.

 

A conti fatti, il suo voto alla riforma Fornero è insufficiente

 

Come ho detto, non si può personalizzare, le resistenze sono fortissime. Ad esempio, al Meeting di Rimini il ministro, ha detto di voler ridurre il costo del lavoro, attraverso il taglio del cuneo fiscale sulle buste paga dei lavoratori. Non gliel’hanno consentito. Si diceva: uno dei nodi della mancata crescita è il basso livello di consumi interni. Questo perché le retribuzioni sono basse; ma sono basse anche perché il cuneo fiscale è altissimo.

 

Allora propone di aumentare le retribuzioni per favorire i consumi?

 

Certo. Supportando le famiglie, come in Francia. La famiglia è fattore di crescita, perché sostiene l’investimento in capitale umano. Ma è anche un pilastro del welfare, perché supporta anziani e disabili. Infine, è propulsore del risparmio privato, che rende solido il Paese. Tutte voci che andrebbero sostenute dal governo.

 

L’ Italia ospita il Papa ed è culla del cattolicesimo. Molti partiti e molti politici citano continuamente valori cattolici. E spesso parlano di politiche per la famiglia. Poi, a ben vedere, i paesi che in Europa hanno le politiche più massicce di sostegno alle famiglie sono quelli definiti “laicisti”. Come Svezia e Danimarca. Perché?

E’ proprio così. E questo accade perché in Italia c’è stata un’involuzione, partita nella prima Repubblica e continuata nella seconda: l’appiattimento di molti cattolici su una visione statalista.

 

In che senso?

 

In altri Paesi, dove il dibattito è più laico, si è guardato all’essenziale; cioè a valorizzare i settori più produttivi. Come la famiglia. Senza dividersi tra cattolici e non. In Italia, una maggiore laicità nel dibattito non guasterebbe: aiuterebbe a crescere la famiglia, la scuola pubblica e quella privata. Eviterebbe la polarizzazione ideologica.

 

Tira le orecchie ai cattolici al potere?

 

Rimprovero il clericalismo anche degli anti clericali: invece di valutare le proposte per il valore che hanno per la persona si discute se sono cattoliche o meno. Basta dividere la società in base all’appartenenza e al colore. Prenda gli Usa. Laggiù il dibattito su scuola pubblica e privata lo stanno superando.

 

Come?

 

Con le charter school. Sono scuole interamente gestite da famiglie; ma il bene a disposizione, la struttura, è pubblica. Questo modello sta superando la polarizzazione pubblico-privato. E’ una scuola libera, in cui non interessa più chi la fa, ma la qualità degli studenti che forma.

 

Insomma, da CL arriva un richiamo alla laicità. Una notizia.

 

A mio parere, da sempre chi è educato in Cl è abituato a pensare in termini laici. Basta ricordare cosa rispose Giussani quando gli fu chiesto se si sentisse più garantito da un cristiano al governo. Rispose di no e aggiunse che “il problema è la sincera dedizione al bene comune e una competenza reale e adeguata”. Il contrasto Guelfi-Ghibellini ingessa ancora il Paese. Parlare di sussidiarietà e solidarietà significa uscire dalle ideologie del passato, discutere dei fatti.

 

La sussidiarietà è la sua bussola. Un principio, che ha ispirato la costruzione europea. Ma l’Unione è percepita sempre più come un mostro burocratico e accentratore, piuttosto che come una pianta con molte radici e altrettanti rami.

 

Questo perché l’unica cosa che ha sviluppato l’Europa è la sussidiarietà verticale, cioè il rapporto tra Bruxelles e gli Stati. Non si parla mai di sussidiarietà orizzontale, cioè dell’importanza che lo Stato non faccia ciò che può fare il privato.

 

Bruxelles è lontana?

Una volta, l’imprenditore, per avere risposte, andava in regione o a Roma. Oggi, invece, deve andare a Bruxelles; un posto lontano, con anonimi palazzi di vetro.

 

Non le va giù?

 

Un’Europa lontana e burocratica rischia di essere un vincolo in più. Il nodo sono i meccanismi con cui l’imprenditore, l’associazione di categoria, la società tutta possono rapportarsi con Bruxelles. Deve esserci la possibilità di dialogo diretto e non con una struttura autoreferenziale.

 

Draghi e Monti le vanno a genio?

 

Mi fido sempre delle persone, salvo prova contraria. Ho conosciuto Draghi e Monti al Meeting di Rimini: mi colpisce la responsabilità drammatica che hanno. E ho capito una cosa: quando le persone hanno responsabilità diretta diventano più comprensivi di problematiche che, prima, vedevano meno. Ampliano la loro visione in corso d’opera. Ecco: ho l’impressione che Draghi e Monti lo stiano facendo.

 

Monti usa spesso termini come “risorsa umana” o “capitale umano”. A lei, che non ama i meccanicismi spersonalizzanti, non sa di freddo? Robotico?

Ma che Monti oggi parli di “capitale umano” è un gran passo avanti! Prima si parlava solo di capitale finanziario o di spesa pubblica: l”umano” non c’era per niente. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 

(Luigi Chiarello)