Matteo Renzi è un grande comunicatore. Non c’è dubbio. Essendo nato a Firenze, sa l’italiano. Dice spengere e non spegnere. Ha la battuta pronta e cattiva. E’ un giovane di belle sembianze, che ama indossare a fine estate la camicia bianca. Viaggia col camper ed ha iniziato la sua campagna referendaria all’interno del Partito Democratico ieri, da Verona. Il suo slogan, anticipato già da qualche giorno, è: “Adesso!”. Come sempre creativi e pubblicitari, sanno il fatto loro. Renzi è un avverbio (in questo caso di tempo), non un pesante sostantivo. Adesso, come la prima parola del Riccardo III scespiriano: “Now! The winter of our discontent…“. Adesso l’inverno del nostro scontento… Un Adesso! che veicola qualcosa di urgente subito, di attuale, di contemporaneo. Attenzione, pubblico, attenzione! Adesso! Segnala qualcosa che sta avvenendo, che per il solo fatto di perdertelo sei già vecchio, sei già da rottamare, sei un matusalemme.



Tante volte ci si chiede perché la politica italiana sia così difficile da capire. Il fatto è che siamo un popolo che, in politica come nel calcio,  vive di emotività e di divisioni in fazioni. La Firenze di Renzi è pur sempre quella che ai tempi di Savonarola si divideva in Piagnoni e Arrabbiati. Amiamo dividerci ed emozionarci per le nostre bandiere, anche se a volte non si capisce per che cosa davvero stiamo combattendo. Matteo Renzi vuole sicuramente rinnovare, è un Blair italiano che punta su parole d’ordine di destra fra l’elettorato di sinistra, partendo proprio da un ambiente sociale dove la sinistra ha sempre governato. E quindi, al di là dell’avverbio slogan, le parole chiave di ieri sono state Europa, futuro, merito, semplificazione, lavoro e persino Patria…



Il fatto è che la politica in questo nostro “vivere alla fine dei tempi” è diventata il regno degli avverbi, di tempo e anche di modo. E’ chiarissima la modernità di Renzi nel modo, nel come fa la campagna referendaria. Una modernità di immagine, di linguaggio, di prossemica e di fisicità della comunicazione, che coniuga il boy scout di un tempo con il guru dell’informazione Giorgio Gori, suo consigliere strategico. Un Obama italiano che però sembra a volte evitare i temi che davvero possono dividere. Colui al quale Antonio Polito dalla prima pagina del Corriere della Sera pone dieci quesiti sul programma di una forza politica moderna e che danno l’impressione di restare inevasi.



Renzi, come lo stesso Grillo e in parte prima di loro Berlusconi, sembrano essere leader a prescindere dalle loro idee, dalle proposte. Occasioni di leader, create dal modo con cui riescono ad entrare in contatto con il pubblico votante. La loro popolarità, il loro successo, sono basati sul metodo con cui entrano in contatto con la gente. Non sui contenuti. Domani, per dire, Grillo potrebbe annunciare una proposta referendaria per chiudere le frontiere agli stranieri oppure per aprirle. Dopodomani Renzi potrebbe chiedere il rispetto dell’articolo 18 oppure la sua totale abolizione.  Le loro idee e le loro posizioni non sono infatti frutto di un dibattito interno ad un partito o ad un movimento. Non chiedono coerenza .

Renzi, in certo senso, è un leader disponibile a qualsiasi soluzione politica. Se ci riflettete, lo potremmo trovare in un futuro, faccio per dire, in un governo Bersani o in un governo Monti o persino in un governo col centro destra. Certo, nel mondo post ideologico è naturale che le differenze fra destra e sinistra siano meno chiare. E che oggi non si capisca se Grillo o Renzi sono veramente di destra o di sinistra. E tuttavia in questa grande, forse inevitabile, confusione il rischio è che la vittoria sia della pura immagine, del puro apparire.

L’avverbio si è fatto camper.