Mentre la sfida per le primarie entra nel vivo, Matteo Renzi non si smentisce ed escogita l’ennesima sortita per creare scompiglio e – soprattutto – parecchia irritazione nell’establishment over 60 del Pd. A nessuno della vecchia guardia è mai passato per la testa e mai sarebbe passato di chiedere voti a destra. Secondo il bon ton della sinistra, nel campo avversario vi è solo spazio per la presenza di nemici. Trattare con essi è cosa disdicevole. Renzi, invece, lo ha fatto. Dichiarando: «Non ho paura di chiedere i voti del centrodestra». Poi, riferendosi agli scontenti di Berlusconi, ha aggiunto: «Noi non abbiamo paura di venire a stanarvi dalle vostre delusioni», infarcendo il suo discorso di una serie di elementi tipicamente destrorsi, quali il merito, il federalismo, l’abbassamento della tasse. Abbiamo chiesto al giornalista e scrittore Frabrizio Rondolino cosa si sta agitando nel centrosinistra.
C’è qualcuno che sostiene che, in realtà, Renzi sia una specie di infiltrato di destra nella sinistra…
Ma no… La sinistra di Renzi non l’ha di certo inventata Renzi e ha dei precedenti nella politica italiana, il più illustre dei quali è stato Veltroni che, a sua volta, aveva abbracciato la linea clintoniana e quella blairiana; come del resto fece, purtroppo per una breve fase, lo stesso D’Alema. Che lui sia a sinistra è fuor di dubbio, quindi. Di una della due presenti in Italia, almeno.
Quali sarebbero?
La cosiddetta sinistra riformista e quella socialdemocratica-neocomunista.
Perché, in ogni caso, si è rivolto al centrodestra?
Perché vuole vincere le elezioni. Mi pare ragionevole che un candidato chieda voti anche alla parte avversa.
Non crede che farlo prima di essere il candidato premier, saltando quindi un passaggio, possa gettare scompiglio nel suo stesso elettorato?
Credo, in realtà, che sia proprio quella la chiave giusta per le primarie. Lui non è in campo per fare il capo del Pd. A lui, come a qualunque italiano, non credo possa importargliene di meno. Così facendo, quindi l’attenzione viene portata fin da subito sulla sostanza.
Quindi, se dovesse governare, cosa farebbe? In molti, infatti, gli rinfacciano di puntare tutto esclusivamente sul suo dato anagrafico
Credo che in Italia ci sia un eccesso di antirenzismo. Certo, il fatto generazionale è connotato da una radicalità che, in qualche misura, lo accomuna a Grillo. Ma, al di là della forza propagandistica, il suo programma ha ben altri contenuti.
Ce li riassume?
Lo Stato dovrebbe occuparsi di meno del cittadino; occorre abbassare le tasse; e la solidarietà va declinata in termini di pari opportunità, non di assistenzialismo. Inoltre, anche il dato generazionale, non è del tutto da ignorare.
Cosa intende?
Se realmente dovesse diventare premier, e rispettasse la promessa di non candidare neanche un esponente della vecchia classe dirigente, ci troveremmo di colpo di fronte ad un rinnovamento epocale. D’altro canto, gli uomini ex-novo di Renzi sono professionisti, amministratori locali, professori universitari; persone che non hanno mai fatto parte della politica nazionale ma che sono tutt’altro che sprovveduti.
E Bersani, invece? In cosa, prevalentemente, si distingue da Renzi?
Direi che, come lui stesso si è autodefinito con ironia, rappresenta –lui e la classe dirigente di cui è espressione – un “usato sicuro”.
Quali sono, invece, i connotati principali del suo programma?
Al fondo, vi è un’idea di Pd decisamente “emiliano”: una politica sostanzialmente statalista, dove nessuno viene abbandonato e lo Stato ha una buona parola e una mancia per tutti. In questa visione, la lotta di classe è abolita, gli esponenti del mondo industriale e di quello del lavoro marciano uniti all’insegna del “volemose bene”. Si tratta di una visione che ha una sua dignità e una sua legittimità. Ha un solo grande difetto: sono finiti i soldi, e lo Stato non può più permettersi di ragionare in questi termini.
(Paolo Nessi)