Non c’e niente da fare. A dare le carte della politica in questo paese è ancora lui, Silvio Berlusconi. A chi gli chiedeva di battere un colpo ha risposto battendolo, ma non come gli si chiedeva, cioè sciogliendo il nodo sulla sua eventuale ricandidatura a Palazzo Chigi, la sesta, a 76 anni, roba da Guinness dei primati. Ha risposto ingarbugliando ancor di più le carte. Che il Cavaliere sia un genio della comunicazione non è certo scoperta di oggi . In questi giorni sta dando di questo l’ennesima dimostrazione tenendo l’intero mondo politico sulle spine e creando l’effetto annuncio. Insomma facendo notizia anche stando zitto, o quasi. E costringendo tutti, amici ed avversari, a tornare a parlare di lui, secondo l’antico adagio andreottiano del “parlatene bene, parlatene male, purché se ne parli”.



Si osservi la sua strategia comunicativa: un’estate di quasi assoluto silenzio, rotta solo da pochissime sortite che hanno fatto salire la suspence intorno alla sua possibile ricandidatura, ipotizzata a giugno scorso. Poi ad “Atreju”, la festa dei ragazzi della “Giovane Italia” l’assenza strategica, che assomiglia tanto a quella di uno scolaro impreparato, perché l’interrogazione si presentava troppo impegnativa, e lui una risposta alla domanda più scontata ancora non ce l’ha. O forse ce l’ha e preferisce tenerla ben nascosta,almeno per il momento. Poichè però in politica il silenzio totale non è cosa buona Berlusconi ha pensato di spargere una manciata d’indizi salendo a Venezia a bordo della nave MSC per la crociera promossa dal fedelissimo Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale”.



Indizi ancora fumosi, quando non contraddittori. Scontato in questa fase dire che la sua scelta sulla candidatura dipenderà dalla nuova legge elettorale. Tutti la stanno attendendo anche per definire il quadro delle alleanze, ovvio che il Cavaliere attenda per valutare il proprio tornaconto.

Ma, accanto a questa affermazione ve ne sono anche altre da analizzare. Dalla constatazione che la situazione è confusa e frazionata discende -a suo dire – la necessità che il paese abbia presto una guida che sia effettivamente tale. Un premier forte, quindi, come lo stesso Berlusconi è convinto di essere stato, che si ponga come obiettivo di “intervenire per rendere, attraverso il cambiamento della Costituzione, governabile il paese”. E che “non prosegua questa politica che ci porta irreversibilmente verso la recessione”.



Proviamo a tradurre: servirebbe una maggioranza chiara, par di capire, ma questo contrasta con la tendenza a modificare la legge elettorale per far in modo che nessuno vinca troppo e la grande coalizione sia necessaria anche nella prossima legislatura. Oppure proprio la grande coalizione è l’orizzonte di Berlusconi per modificare la nostra carta fondamentale.

Vien da chiedersi se il leader del PDL pensi a Monti per guidare questo eventuale nuovo governo di unità nazionale, ipotesi che a Montecitorio circola da un paio di settimane: Berlusconi che si intesta la ricandidatura dell’attuale premier, scippandolo – per via del più consistente pacchetto di voti – persino al supermontiano Casini. La risposta però parrebbe negativa, proprio per via delle critiche di Berlusconi a una politica economica giudicata recessiva.

Può però il Cavaliere schierarsi in posizione radicalmente opposta alla politica del governo in carica? La sensazione è che vorrebbe tanto, ma non può. Non può per ragioni di coerenza, avendo sostenuto – seppure obtorto collo – l’esecutivo dei tecnici. Ci sono però anche ragioni internazionali che gli impediscono di fare l’antieuropeista al cento per cento, gli strali delle cancellerie comunitarie che si abbatterebbero su di lui. Gli stessi che lo costrinsero alle dimissioni dieci mesi fa.

Vorrei ma non posso, quindi. Vorrei conservare una legge elettorale maggioritaria, ma non mi conviene in questa fase politica. Vorrei sparare a zero su un’Europa che produce solo rigore e recessione, perché porterebbe un sacco di voti, ma non si può inimicarsi l’intero continente e tagliarsi fuori dai giochi post elettorali nel parlamento italiano.

E allora avanti adagio. Adagio nelle trattative sulla legge elettorale, adagio con una spruzzata di euroscetticismo che non guasta. La decisione sulla candidatura a Palazzo Chigi sarà presa in extremis, all’ultimo minuto utile, sulla base della soluzione più conveniente. E questo finirà per tenere sulle spine il resto del quadro politico italiano, in primo luogo proprio il suo partito, il Popolo della Libertà, che non può permettersi oggi di tagliare il cordone ombelicale con il suo fondatore.