Forse, questa volta, hanno esagerato. Per non lasciarsi fagocitare dal montare dell’antipolitica, i gruppi parlamentari si erano decisi a predisporre una revisione del sistema di finanziamento ai partiti. Più trasparenza nei bilanci, anzitutto. Peccato che, dopo l’avvicendarsi di svariate proposte, emendamenti, correzioni e dietrofront, la bozza con il nuovo regolamento che sarà esaminata oggi dalla Giunta apposita, non conterrà un particolare fondamentale suggerito, ai tempi, dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Nel testo, come ha avuto modo di sapere in anticipo l’Ansa, non è presente la norma che impone ai partiti di far vagliare i propri bilanci da società di certificazioni esterne. Significa che, accampando il principio dell’autogiurisdizione degli organi costituzionali, giudici dei parlamentari saranno i parlamentari stessi. Pino Pisicchio, vice-presidente della Giunta delle Elezioni della Camera, che si era battuto affinché fosse la Corte di Conti a valutare i bilanci dei partiti, ci spiega perché spera ancora che il Parlamento abbia un sussulto di dignità e approvi la mia bozza.  



Come giudica il fatto che dalla bozza si stato espunto l’obbligo di far vagliare i bilanci da organismi esterni?

Mi sembra che si stia esagerando con il concetto di autarchia parlamentare. Che, se già è insopportabile all’interno di uno schema che devolve a deputati e senatori il compito di stabilire i meccanismi di incompatibilità e autorizzazione a procedere, lo è tanto più nel momento in cui sono gli stessi parlamentari, espressione dei partiti politici a dover valutare i proprio bilanci.



Attualmente, a chi è attribuito tale compito?

A nessuno. Ad oggi, l’unico vincolo consiste nella pubblicazione del bilancio. Operazione che, di solito, si esaurisce nella pubblicazione sul proprio giornale di partito.

E non è sufficiente?

No, perché, spesso, i bilanci pubblicati riportano esclusivamente le macrovoci: entrate, uscite, avanzi o disavanzi. Non è possibile sapere, con precisione, quanto è stato speso e per cosa.

Finora, nessuno ha mai sollevato obiezioni in merito?

Già da tempo la Corte dei Conti ha sollevato dei rilievi circa l’opportunità che fosse un organo terzo a valutare il procedimento. Io stesso ho suggerito che fosse proprio la Corte ad assumere tale compito. Non solo: c’è stata un’effimera stagione in cui gli sherpa hanno discusso di riforma del sistema del finanziamento pubblico e, in particolare, del sistema di verifica. In quella circostanza si era parlato in maniera netta della necessità di introdurre la certificazioni da parte di società esterne.



Com’è possibile che i parlamentari non si rendano conto dell’autogol che si stanno infliggendo?

Guardi, continuo a sperare che, oggi, la questione si chiuda con un emendamento che reintroduca il vincolo di un organismo esterno. Se le forze politiche avranno un minimo di attenzione alla sensibilità che si sta muovendo nel Paese, credo che ci sia ancora tempo per rimettere in moto un meccanismo virtuoso.

Cosa dirà per chiederne la reintroduzione?

Credo che sarà sufficiente chiedere ai colleghi di alzare lo sguardo, per rendersi conto che il Paese non sopporterebbe gesti che non hanno alcuna motivazione razionale. Tanto più alla luce di quanto sta accadendo in Regione Lazio, proprio a proposito dello scandalo relativo al finanziamento ai partiti.

E se così non fosse?

Ci troveremmo in una situazione estremamente spiacevole. Sembrerebbe, per usare una metafora epica, come quando gli dei vogliono dannare qualcuno e lo accecano, affinché continui a vagare senza rendersi conto degli errori che compiono.

La stessa circostanza sembra in procinto di verificarsi sul fronte della legge elettorale, sulla riforma della quale, dopo mesi, si è tornati al punto di partenza

Anche qui, continuo a coltivare la speranza che si giunga, infine, ad un progetto condiviso, che non faccia esclusivamente l’interesse di Berlusconi, della Lega, e, probabilmente, dell’Udc. E’ vero che la legge elettorale è una legge ordinaria. Ma, di fatto, riguardando tutti, e può considerarsi di natura costituzionale.  Abbiamo il dovere di dar vita ad una riforma decente che, magari,  sia fatta al “buio”, come dicono i costituzionalisti e che, quindi, scontenti tutti. E credo che sussistano ancora i margini per farlo.  

 

(Paolo Nessi)