Le dichiarazioni rilasciate al quotidiano La Repubblica dall’On.le Ugo Sposetti – tesoriere dei DS sino a che non è confluito nel PD – costituiscono un ulteriore “regalo” al dilagante sentimento di anti-politica. Considerare come un destino ineluttabile il fatto che “chi vuole rubare, ruba” rappresenta difatti una resa ai fenomeni di malcostume (o meglio: di malversazione) emersi in quest’ultimo periodo nella gestione dei finanziamenti destinati ai partiti per lo svolgimento dell’attività politica.
L’occasione, in relazione alla quale è stata ostentata tale rassegnazione, è fornita dal dibattito che si sta svolgendo presso la Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati, essenzialmente volto a varare una serie di modifiche al Regolamento stesso, con l’obiettivo di rendere più trasparente l’erogazione e la gestione dei contributi pubblici ai gruppi parlamentari. Il nodo attorno al quale si è sviluppata la discussione è rappresentato, soprattutto, dalla certificazione dei bilanci dei gruppi parlamentari da parte di società esterne, sulla cui reale efficacia lo stesso Sposetti dubita, in quanto – a suo avviso – questo strumento non è stato in grado di evitare altri eventi disastrosi, come il fallimento della Lehman Brothers o della Parmalat.
La Giunta per il Regolamento, in una prima fase, si è opposta a questa presunta interferenza nell’attività politica, nonostante il contrario avviso dell’On.le Fini. Perciò fino a ieri, sembrava che la Camera volesse optare per un controllo “interno” dei bilanci dei gruppi (tramite i Questori di Presidenza).
La vicenda ha, tuttavia, registrato un ulteriore svolgimento nella discussione di ieri, allorquando UDC, PD, IDV, FLI e Lega Nord – nel timore di prestare nuovamente il fianco all’anti-politica – sono tornati sui loro passi, esprimendo favore per un controllo esterno, contro il quale ha continuato ad esprimersi solo il PDL.
Di certo, la vera questione costituzionale è che in Italia la politica ha smarrito ogni capacità progettuale delle Istituzioni e della società ed è sempre più ridotta ad essere un “affare”. Ciò che sorprende è che nel panorama europeo questa situazione italiana appare realmente unica.
Il problema della politica italiana non si risolve comprimendo la classe politica, riducendo il numero dei consiglieri regionali o comunali (anche se si lascia immutato il pletorico numero dei parlamentari), né trasformando le province da ente democratico in ente di sottogoverno, ma ponendo le riforme istituzionali nel solco di una ripresa morale della politica, intesa come decisione sul bene comune.
E’ per questo che, in un periodo come quello attuale, in cui si sostiene addirittura l’abolizione totale dei contributi pubblici ai partiti, ogni comportamento di passiva accettazione o di distanza mostrato dai politici richiede una reazione ancora più energica da parte dei cittadini.
E, in questo senso, la necessità di non delegare ai partiti e di organizzare la società civile, nelle sue più diverse forme associative e partecipative, come sta accadendo, può divenire la chiave di volta per affrontare in qualche modo la crisi morale della politica e per dare una risposta costituzionale alla domanda di partecipazione dei cittadini che i partiti in campo non sanno raccogliere.