Va bene la democrazia, ma un qualsivoglia minimo criterio di selezione all’entrata ci dovrà pur essere: questo, in sostanza, il ragionamento fatto da un gruppo di Parlamentari del Pd aderenti ad Area democratica, la corrente capeggiata dall’onorevole Beppe Fioroni, rispetto alla regole delle primarie di coalizione. Così come sono, non vanno bene. Lo hanno scritto al segretario Bersani, facendogli presente che «non possono inglobare tutto e il contrario di tutto. Per questo occorre che i candidati del Pd si presentino con un programma di governo che rispecchi le soluzioni definite da un lungo lavoro che ha coinvolto iscritti, militanti e simpatizzanti del Pd e approvato all’unanimità». Abbiamo chiesto proprio a Fioroni di spiegarci le ragioni della missiva.



Nella lettera citate il caso del referendum abrogativo della riforma Fornero depositato da Nichi Vendola, Idv, sinistra radicale e Fiom. Si tratta di un elemento di distonia così fondamentale?

La lettera è molo più lunga degli ampi stralci riportati dalle agenzie, e rappresenta l’estrapolazione della conclusione di un mio intervento nell’Aula magna della gregoriana, in conclusione di un convegno organizzato da Area democratica.



Ce lo riassume?

In sostanza, noi del Pd avevamo promesso al Paese che non avremmo ripetuto gli errori dell’esperienza dell’Unione. Non mi sarei mai immaginato che, non solo avrei dovuto ribadire la necessità di non ripetere tali errori, ma avrei dovuto addirittura mettere in guardia dal rischio di farne di peggiori.

Cosa intende?

Le primarie non sono un congresso di partito dove ci sono tesi contrapposte di cui si fa la sintesi rispetto al progetto maggioritario che detta la linea prevalente; al contrario, servono per scegliere il candidato presidente del Consiglio che dovrà operare secondo il programma scelto dal partito per guidare l’Italia. Quindi, chi vuole partecipare alla competizione dovrà condividere il progetto che il Pd ha costruito in tre anni di lavoro. Non è pensabile che ci siano candidati con programmi non tanto capaci di integrare, quanto configgenti con quello votato dagli iscritti.



A chi si riferisce?

Il mio non è un attacco nei confronti di nessuno. Dico soltanto che non possiamo permetterci di dare all’esterno l’impressione di essere più divisi di quanto non lo fosse l’Unione. Se ci sono dei candidati che esprimono una linea diversa dal programma votato, essi contribuiscono a dare l’idea di balcanizzazione interna.

E per quanto riguarda, invece, i candidati esterni alla coalizione?

Si pone un problema analogo. Credo che sia necessario sottoscrivere, quantomeno, una carta d’intenti. Per evitare il perpetrarsi di situazioni come l’attuale, in cui Nichi Vendola ha depositato una referendum per abrogare la riforma Fornero; legge che il Pd ha votato, pur ritenendola migliorabile in diversi elementi, come la vicenda degli esodati. E’ evidente che iniziative di questo genere producono una conflittualità tale per cui l’eventuale coalizione sarebbe costituta da partiti tra di loro avversari. La radicalizzazione delle scontro renderebbe la coalizione troppo a sinistra o simile alla vecchia Forza Italia.

Quali sono  i contenuti particolarmente in distonia rispetto al programma del Pd?

Beh, prenda Renzi e Vendola: sull’articolo 18 dicono l’uno il contrario dell’altro; le liberalizzazioni uno le vuole, l’altro non ne vuol neanche sentirne parlare; uno vuole meno Stato, mentre l’altro ne vuole di più.

Si potrebbe obiettare che dovrebbero essere gli elettori a decidere chi votare e con quale programma

Gli elettori scelgono colui che ritengono più opportuno. Io mi limito a contribuire alla serietà della competizione. Nessuno obbliga ad essere iscritti al partito democratico, a concorrere alla stesura del programma e, poi, per opportunismo, a decidere di presentarsi con un programma fai da te. 

 

 

(Paolo Nessi)