Il panorama politico è frastagliato, mentre si moltiplicano i fattori potenzialmente destabilizzanti. Napolitano, in un messaggio inviato a Casini nel corso del Congresso dell’Internazionale democratica di centro, ha espresso i suo timori principali. Auspicando che le forze politiche perseguano il processo di integrazione europeo, ha chiesto loro di impegnarsi per contrastare «l’insorgere di illusori e facili populismi e il ripiegamento su anguste e sterili chiusure entro orizzonti nazionali». Il rafforzamento dell’unità e il contrasto alle forze disgreganti sono, secondo il capo dello Stato, le uniche strade che consentono l’affermazioni di valori quali la libertà, la solidarietà e la giustizia sociale, che «costituiscono tanta parte della tradizione sociale cristiana» e che «continuano a rappresentare punti di riferimento fondamentali per affrontare la complessità dei problemi che caratterizzano il mondo globalizzato di oggi». Ma a chi di chi parlava quando nominava i «populismi»? Paolo Franchi ci spiega come interpretare le sue parole.
A chi si riferiva Napolitano?
Credo che abbia in mente, anzitutto, un problema d’ordine generale; assistiamo al diffondersi, in Europa, di movimenti di natura xenofoba, populista o antieuropea. Per questa ragione, di recente, Mario Monti aveva suggerito di convocare un vertice Ue a Roma per rilanciare l’unità dei Paesi membri.
E per quanto riguarda l’Italia?
Non credo che il riferimento sia sic et simpliciter a Grillo. Anche, certamente. Ma, più in generale, ad una pluralità di sentimenti di rivalsa e rabbia, di rivendicazioni e di contestazioni, talvolta legittime, che per comodità riassumiamo nel termine antipolitica. E che continuano ad alimentarsi, anche grazie a scandali come quello che ha coinvolto la Regione Lazio.
Tutto questo, per il Capo dello Stato, quali effetti potrebbe produrre?
A breve ci saranno le elezioni. E, di per sé, il quadro già è abbastanza incerto: nonostante i risultati ottenuti sotto il profilo del rigore, lo stato dell’economia reale si aggrava di ora in ora, mentre le alleanze non sono ancora state definite. In una tale situazione, Grillo, Di Pietro, o altre forze che, nei prossimi mesi, potranno assumere sempre più rilevanza, potrebbero occupare ingenti spazi. Rischiamo, quindi, di trovarci con un Parlamento ingovernabile.
Cosa sta facendo Napolitano per gestire la fase preelettorale?
Nei suoi ultimi discorsi è ravvisabile l’intento di orientare il dibattito politico in senso europeista. Tuttavia, sta “giocando al buio”, a causa del fatto che non è chiaro quali saranno le coalizioni che competeranno per il governo. L’ipotesi ventilata fino a poco tempo fa di anticipare le elezioni per fare in modo che fosse lui a nominare il nuovo premier è ormai quasi del tutto sfumata. Quindi, al di là di operazioni di moral suasion, a livello tecnico, credo che possa fare ben poco.
Non sarà, quindi, in grado di condizionare il quadro d’insieme in modo da riproporre un nuovo governo guidato da Monti?
Non di certo se non spetterà a lui il compito di nominare il prossimo presidente del Consiglio. Al limite, potrà continuare – adesso – a insistere, in tutte le sedi e con tutta la solennità possibile, sulla necessità di costruire un’unità di fondo tra le forze politiche affinché siano in grado di proseguire l’agenda Monti.
Sullo sfondo, continuano ad agitarsi il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia e la questione delle conversazioni di Napolitano intercettate. La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto d’attribuzioni sollevata dal Quirinale. Quanto continua a pesare l’intera vicenda?
Credo non poco. Attorno ad essa si è costituito un fronte contro il capo dello Stato piuttosto largo e costituito da forze eterogenee. E, sebbene adesso sembra che il fervore antiquirinalizio sia sfumato, non sappiamo se, al momento opportuno, non possa tornare alla ribalta in tutta la sua dirompenza. Per questo, d’altro canto, il presidente ha sollevato il conflitto. Non c’è dubbio che lo abbia fatto per difendere le prerogative dei suoi successori. A 87 anni e a pochi mesi dalla scadenza del suo mandato, per se stesso, ovviamente, non può avere nulla da temere.
(Paolo Nessi)