La cronaca più recente ci distrae da quanto accade sullo sfondo, indebolendo la nostra capacità di visione dei processi globali in cui l’Italia deve muoversi. Come noto, numerose riforme avviate negli anni Novanta hanno modificato l’assetto istituzionale interno al fine di realizzare forme e modalità di azione pubblica ritenute capaci di agire in modo più efficiente. La scelta del decentramento – soprattutto istituzionale – si è declinata, sul versante interno, nella riforma costituzionale del 2001, e sul versante esterno con la convinta adesione al rafforzamento dell’integrazione europea culminata con i nuovi Trattati dell’Unione europea. Ma gli esiti di tali scelte non sembrano coerenti con le aspettative: il cd. federalismo “nazionale” si è sviluppato in modo assai incerto e contraddittorio; così come il cd. federalismo “europeo” appare debole e impotente innanzi alle sfide cruciali determinatesi a seguito della crisi – prima finanziaria e poi economica e sociale – che ci attanaglia.
Innanzi a tali problemi, una prospettiva di riforma è stata recentemente offerta dal gruppo di Ministri degli Esteri di undici Stati europei che va sotto il nome di “the Future of Europe Group”. Costituito su iniziativa del Ministro tedesco Westerwelle, questo gruppo di lavoro ha prodotto un rapporto finale dallo sguardo lungo e con un approccio assai concreto e propositivo. Si sostiene, in sostanza, che di fronte alla presente crisi e al processo di globalizzazione l’Europa non può stare ferma. Essa, invece, deve evolversi in modo da riuscire a promuovere realmente i suoi interessi e suoi valori in un “mondo più policentrico”. Soprattutto, si riconosce che la crisi ha una dimensione politica, che non può sfuggire da una questione decisiva, quella di impegnare direttamente i cittadini dell’Europa. Insomma, il tema finalmente viene focalizzato in modo corretto: l’Europa non è una costruzione fatta da tecnici che cercano di far funzionare meglio gli Stati; deve essere pensata – e quindi ri-costruita – in modo da divenire uno strumento politico che operi nell’interesse e in nome dei cittadini europei.
Da questa condivisibile premessa – che mette a nudo l’ipocrisia tecnocratica che ha fatto velo sul vero e più profondo significato del processo di integrazione europea – scaturiscono una serie articolata di proposte di riforma che, al di là dei tecnicismi giuridici, assumono un rilievo sostanzialmente costituzionale. In estrema sintesi, si propongono misure volte a rafforzare l’unione economica e monetaria, a promuovere il complessivo funzionamento dell’Unione sia nell’azione esterna che nell’assetto organizzativo e funzionale. Obiettivo finale è quello di creare un sistema politico più chiaro ed efficiente che consenta l’affermazione del principio della separazione dei poteri in modo che le istituzioni europee siano pienamente legittimate dal punto di vista democratico. Da questo punto di vista, si propone, ad esempio, di incrementare il ruolo del Parlamento europeo, così come si intende promuovere la politica europea della difesa, e accrescere le competenze europee in materia di giustizia e affari interni. Interessanti proposte, poi, sono formulate circa la creazione di uno “spazio politico europeo”, ove si confrontino maggioranza e opposizioni europee, e vi sia un rapporto tra Parlamento e Presidente della Commissione simile a quello presente nelle forme di governo parlamentari, o, ancora, si prospetta la tesi, formulata da alcuni appartenenti al Gruppo, che il Presidente della Commissione sia eletto direttamente, e quella secondo cui vi potrebbe essere una “seconda Camera” formata da rappresentanti degli Stati.
Quanto prospettato in modo prospettico in questo rapporto può forse apparire come un tentativo “meccanicistico” per affrontare le sfide della contemporaneità. Alcune delle idee suggerite, è chiaro, non troveranno benevola accoglienza in non pochi altri Stati dell’Unione. Ma ciò che colpisce positivamente è lo sforzo intellettuale e il coraggio politico dell’iniziativa. Le regole istituzionali che reggono le collettività non sono tanto, come qualcuno vorrebbe far credere, il frutto del tempo, ma soprattutto il prodotto della volontà dei soggetti che animano i processi politici e culturali, che promuovono il dibattito pubblico, e che si propongono di indirizzare secondo precise tavole valori i comportamenti individuali e collettivi. Su questo aspetto il rapporto finale appare chiaro: l’Europa deve agire e presentarsi come una comunità fondata sui valori fondamentali di libertà, eguaglianza e solidarietà che sono inscritti non soltanto nei trattati europei, ma soprattutto nel patrimonio costituzionale delle Nazioni che hanno dato contribuito alla sua nascita e al suo sviluppo. E’ proprio il rispetto di tali valori che deve spingere a tradurre nella realtà, per quanto è possibile, i propositi di chi chiede che l’Europa non si fermi, non arretri di fronte ai problemi, non dimostri un’irreversibile debolezza decisionale e operativa, non si fermi sul fronte delle decisioni tecnico-giuridiche, ma diventi una realtà politica e democratica nel senso più pieno della parola.