La spending review, dopo le polemiche per le riduzioni dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni, sull’onda degli scandali, investe nuovamente i consigli regionali. Sono in tanti ad essere convinti di avere la ricetta giusta per salvare dagli sprechi il denaro pubblico, e oggi tiene banco la proposta avanzata ieri in tarda serata dalla conferenza stato-regioni. Ciò che è certo, è che, anche i governatori, dovranno, in qualche modo, mettersi il cuore in pace e – per salvare la faccia – mettere mano al portafogli sfoltendo i veri sprechi e le spese inutili. L’idea di fondo è che, almeno questa volta, si scongiurino i tagli lineari per attaccare le sacche di rendita di gruppi consiliari e della macchina regionale tout-court. Abbiamo chiesto a Giuseppe Bortolussi quale sarebbe il modo migliore per procedere.
Secondo lei, in che modo la spesa delle regioni va tagliata?
Diciamo, anzitutto, che il problema non può essere considerato quello degli stipendi dei gruppi consiliari. Certo, sull’onda dello scandalo laziale sarà facile imputare ad essi ogni male; ma non dimentichiamo che si tratta di un capitolo di spesa ammontante a circa 70 milioni di spesa. Di certo, tuttavia, occorrerebbe introdurre criteri di trasparenza.
In che senso?
Le spese di ciascun consigliere andrebbero rendicontate. Io sono consigliere in Veneto e lì abbiamo l’obbligo di giustificare qualunque uscita. Con dei revisori dei conti che verificano le voci nel dettaglio. Normalmente, è sufficiente pubblicare un bilancio i cui si evidenziano le entrate, le uscite, ma non si capisce per cosa siano stati spesi i soldi.
Detto ciò, in che termini si dovrebbe agire?
Una volta chiarito che quello degli stipendi non è il vero problema, dobbiamo, tuttavia, sottolineare come tra Regione e Regione, accorti meccanismi di indennità ed emolumenti vari facciano lievitare il guadagno del singolo consigliere, in certi casi, sino al doppio di quanto prende uno che è stato eletto in una Regione che rispetta le regole. Sarebbe sufficiente, in tal senso, fare una media tra regione e regione.
In termini più generali, invece, dove sarebbe opportuno intervenire?
Credo che il problema vero delle Regioni consista nel fatto che hanno troppe competenze, dal turismo, all’agricoltura, dalla sanità ai trasporti pubblici; in tal senso, occorre, anzitutto, capire se e dove si annidino gli sprechi. Il che è estremamente difficile. Quando la Cgia di Mestre ha dimostrato che la spesa pubblica regionale è aumentata, in una decina d’anni, di 89 miliardi, non ha inteso descrivere un elemento, in se stesso, negativo; ovvero, è importante che spenda solo la Regione che può permetterselo.
Cosa significa?
Possono spendere – non sprecare! – quelle Regioni che hanno un residuo fiscale molto alto. Ovvero, quelle amministrazioni ove la differenza tra l’imposizione fiscale versata dai cittadini allo Stato, e quanto lo Stato restituisce in opere e servizi. E’ uno dei criteri con cui definire una regione virtuosa. Quando si trova in queste condizioni, non resta che implementare una vigilanza efficace affinché tali risorse siano spesa bene.
Crede che, da questo punto di vista, il sistema funzioni?
E’ profondamente migliorabile. Ci sono moltissimi enti e società inutili forieri, a loro volta, di cospicui emolumenti. Per intenderci: a che servono 8 consorzi di bonifica, quando ne sarebbe sufficiente uno solo,con delle articolazioni sul territorio, e un solo presidente? C’è, infine, un ultimo criterio da tenere a mente.
Quale?
Quello dei costi standard, già previsto per la spesa pubblica statale, ma il cui banco di prova effettivo sono le Regioni. E necessario sapere, ad esempio,che una matita, o una siringa, costano, mediamente, “X”; e, quando vengono pagate di più, siamo di fronte ad un atto illegittimo, che sarà pagato con i soldi dei cittadini.
(Paolo Nessi)