Le vicende del Lazio portano le Regioni a Canossa, a chiedere un provvedimento urgente al Governo per ridurre i consiglieri regionali (cosa sensata perché i numeri erano rimasti quelli antecedenti alla riforma dell’elezione diretta dei Governatori, quando i consigli avevano un ben altro ruolo). L’atteggiamento ha però del paradossale perché proprio dieci Regioni avevano impugnato alla Corte costituzionale la manovra di Ferragosto (dl 138/2011) con cui il Governo aveva chiesto una sforbiciata al numero dei consiglieri e alle loro indennità. Molti Governatori si erano pure risentiti quando nel giugno 2010, sulla base del lavoro della Copaff, il Governo aveva intitolato con la metafora dell'”albero storto” il primo paragrafo della relazione al Parlamento sull’attuazione del federalismo fiscale. Già allora si erano, infatti, denunciate molte delle storture oggi prepotentemente portate all’attenzione dell’opinione pubblica dall’osceno caso de “er Batman”.



Eppure sembra che oggi si scopra l’acqua calda e i giornali iniziano un massacro mediatico contro le Regioni intonando il requiem al federalismo all’italiana. Attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca: il centralismo all’italiana non è stato quello francese e non possiamo rimpiangerlo come un paradiso perduto. Negli anni Novanta il problema era il centralismo soffocante, che aveva fornito una pessima prova: al suo interno erano esplosi debito pubblico e corruzione; era il nemico da battere, lo dicevano tutti: i costituzionalisti, i dibattiti, i giornali, addirittura i film. La nascita e il bruciante successo della Lega Nord proprio in questo periodo si fondava sul disagio reale dell’oppressione centralistica.



Pur nella consapevolezza dei tanti difetti del nostro federalismo all’italiana, i cui limiti si sono toccati più volte con mano dentro il lavoro dettagliato che in questi anni ha svolto la Copaff, rimango dell’idea che ci sia molto da correggere, ma anche molto da valorizzare. Abbiamo il meglio e il peggio del mondo. Abbiamo Regioni che hanno sperperato fiumi di denaro pubblico e che hanno introdotto un federalismo di complicazione aumentando in misura esponenziale una demenziale burocrazia. Ma nello stesso tempo abbiamo Regioni che hanno creato negli anni modelli che sono vere e proprie eccellenze mondiali: nella sanità, nei servizi sociali, nei rapporti con le imprese. Queste hanno fatto da pilota per lo stesso Governo centrale: ad esempio, sono le state le Regioni i primi soggetti istituzionali che hanno valorizzato e applicato la sussidiarietà.



C’è molto da fare. Sicuramente va corretta la riforma del Titolo V, che ha decentrato materie come le “grandi reti di trasporto” e contiene un elenco di competenze concorrenti che va drasticamente ridotto, come ha fatto la Germania. Andrebbe poi introdotto un vero Senato federale, tipo Bundesrat tedesco, superando quel reperto di archeologia costituzionale – proprio ormai solo di qualche Stato africano – che è il nostro bicameralismo paritario dove 1000 parlamentari hanno tutti la stessa funzione. Andrebbe anche sciolta l’ambiguità tra regionalismo e municipalismo, il nodo gordiano del nostro impianto costituzionale, da sempre risolto in Germania. Si dovrebbe inoltre attuare l’art. 116 della Costituzione, valorizzando le Regioni virtuose e riducendo l’autonomia delle Regioni canaglia. Andrebbe sistemata la questione delle Regioni speciali: ha senso mantenere la specialità della Sicilia, il cui statuto, ormai vecchio di più di sessant’anni, non è stato ancora attuato e dove la maggiore autonomia è stata usata per assumere eserciti di personale pubblico, per cui in solo giorno si spendono 3 milioni di euro per il rimorso dei prestiti, tanto quanto in un anno si è investito in ferrovie? Ma ha pure senso mantenere l’abnorme privilegio finanziario del Trentino Alto Adige o della Valle d’Aosta, fonte anche di pesanti distorsioni della concorrenza?

C’è molto da fare, quindi. Ma non semplifichiamo troppo facendo di tutta un’erba un fascio: in questi anni abbiamo ceduto sovranità all’Europa, forse l’abbiamo dissipata visti i risultati, ma ormai non si può tornare indietro e l’unico modo per recuperarla almeno in parte, questa sovranità popolare, rimane quello dal basso, attraverso un federalismo razionalizzato.