Il più lesto a sposare la disponibilità di Mario Monti a fare il bis a Palazzo Chigi è stato Pierferdinando Casini. Il più imbarazzato, al contrario, Pier Luigi Bersani. In mezzo Silvio Berlusconi, che ha svicolato da un giudizio a caldo, riservandosi di valutare la situazione quando si conosceranno le regole del gioco, quando cioè si conoscerà il sistema elettorale con il quale si rinnoveranno Camera e Senato nella prossima primavera.
Ed è proprio sulle trattative per modificare il “porcellum” che l’annuncio made in New York di Monti portebbe avere le conseguenze più evidenti. La sua apertura è giunta solo parzialmente inattesa. All’insistenza nel manifestare indisponiblità a un bis alla guida del governo credevano in pochi. I più ci vedevano una scelta tattica, per non turbare i delicati equilibri della sua maggioranza. Intorno a lui, però, dopo l’estate il pressing per un bis era aumentato. Sul piano interno dagli ambienti economici, sul piano internazionale è stato addirittura un crescendo di richieste di conoscere che cosa sarebbe accaduto in Italia dopo le elezioni. Di sicuro questa domanda gli è stata rivolta da Angela Merkel, nel vertice di Berlino di fine agosto, ma probabilmente anche dai vertici europei è venuta la stessa sollecitazione. E forse anche l’Amministrazione statunitense non è estranea al ripensamento del premier, che non a caso ha fatto il suo annuncio al termine della sua visita nella Grande Mela.
Monti, dunque, come garante della continuità dell’azione di risanamento, quella stessa azione per la quale lui ha detto essere necessario ben più che il breve mandato del suo governo tecnico. La sorpresa è quindi sui tempi piuttosto anticipati dell’annuncio della disponiblità. Il problema vero è come possa concretizzarsi il bis. E di certo questo non può avvenire se si votasse con l’attuale legge elettorale. Monti di candidarsi direttamente non ha bisogno, perché il preveggente Napolitano lo aveva nominato senatore a vita un attimo prima della chiamata a palazzo Chigi. Ma il “porcellum” prevede candidati premier e un premio di maggioranza, quantomeno alla Camera.
Lo sa bene Bersani, secondo cui l’esperienza del governo tecnico è fuori dalla norma, è eccezionale e dovrebbe esaurirsi con la legislatura. Ecco perché il segretario democratico ha sbottato: “Alle elezioni dobbiamo offrire agli italiani una maggioranza ed un programma”. Poi la coda velenosa: “Se qualcuno pensa di prenotare le elezioni, rendendole inutili, pensando che il giorno dopo debba fare un accordo con Berlusconi e Grillo, io mi riposo”.
Chi si attendeva un percorso in discesa, come Casini, è avvisato: la trattativa per far virare in senso decisamente proporzionale la legge elettorale è tutta in salita. Il leader centrista ha annunciato che le liste dell’Udc saranno all’insegna del “Monti bis”. E questa non è poi una gran notizia.
Più interessante è capire quanto a questa eventualità sia interessato il Pdl, per cui si parla di una forte tentazione di Berlusconi a dare il proprio via libera per tornare al centro della scena. In fondo, un secondo governo Monti, magari con ministri politici e non tecnici, è una delle opzioni per la prossima primavera meno sgradite a Berlusconi, viste le difficoltà del suo partito, ora aggravate dal caso Fiorito.
Non a caso il Cavaliere ha evitato di fornire un giudizio: si è limitato a tornare ad attaccare l’euro, senza esprimersi direttamente sul Monti Bis. Ma c’è un pezzo di Pdl, quello ad esempio rappresentato dal vicepresidente della Camera Lupi, che sarebbe assai favorevole, al contrario degli ex An, che si sentirebbero tagliati fuori, e forse potrebbero arrivare a quella scissione che in privato Berlusconi fa sapere di non vedere come un dramma. Da parte del Pdl, quindi, l’annuncio di New York potrebbe favorire l’ammorbidimento delle posizioni sulla legge elettorale, magari convergendo con l’Udc e – strumentalmente – anche con la Lega, che dal proporzionale ha tutto da guadagnare.
Al contrario, in casa democratica serpeggia il dubbio che Monti – alla fine – diventi il vero candidato di uno schieramento moderato. E’ l’incubo che Bersani deve esorcizzare, per evitare che da vincitore annunciato delle elezioni, finisca per diventare marginale al nuovo scenario. Ma il leader democratico deva fare i conti anche con l’area “montiana” del suo partito, il cui principale esponente è il suo competitor più accreditato, Matteo Renzi, da oggi più forte nella corsa verso le primarie di fine novembre.