Può darsi che le primarie, questa volta, non si riducano al solito fenomeno di interesse esclusivo per gli addetti ai lavori o gli ultrà della politica; a parte il fatto che la sfida tra Renzi e Bersani, (in cui, ormai, è riassumibile la competizione), è già di per sé piuttosto suggestiva, l’esito finale potrebbe riguardare un po’ chiunque. A seconda di chi vince, infatti, cambia tutto. E, dato che il Pd, ad oggi, è in testa nei sondaggi, chi vince, con ogni probabilità, guiderà pure il Paese. Stefano Fassina, responsabile economico del partito, non ha mai nascosto il suo appoggio al segretario. Siccome le sue idee su come cambiare la società influenzeranno non poco l’azione di Bersani, gli abbiamo chiesto di spiegarci come la pensa su una serie di questioni di natura economica decisive.
Tanto per cominciare: crede che l’Italia dovrebbe chiedere gli aiuti all’Europa?
No, perché il problema dell’economia europea non è l’Italia, né la Spagna, ma una linea di politica economica sbagliata prevalente nella zona euro, che insiste su un’austerità autodistruttiva e sulla svalutazione del lavoro. Chiedere l’intervento del Fondo salva stati significherebbe esprimere una lettura sbagliata dei problemi dell’Eurozona e aumentare i problemi dell’Italia; è probabile, infatti, che accedere al Fondo implichi l’accettazione di ulteriori misure di austerità.
Cosa ne pensa del Fiscal compact?
Così come è stato istituito non può funzionare. Va integrato realizzando l’unione politica e quella fiscale; dando vita a una politica di bilancio, a livello europeo, anticiclica, invece che prociclica come l’attuale; e introducendo alcuni vincoli, quali una golden rule che non contempli la spesa pubblica destinata agli investimenti nel computo del deficit.
Come si svilupperanno i vostri rapporti con l’Europa?
Premesso che rispetteremo tutti gli impegni assunti dai governi precedenti, assieme alle forze riformiste europee, come i socialisti francesi o l’Spd tedesca, orienteremo la politica economica dell’area Euro verso lo sviluppo, il lavoro e la riduzione dei debiti pubblico. Ribadendo che l’attuale austerità autodistruttiva sta portando proprio all’aumento dei debiti pubblici, anche in Italia.
Quale sarà il vostro atteggiamento nei confronti di Fiat?
Cercheremo, anzitutto, di far sì che, attraverso la Fiat – e se non sarà possibile, attraverso altre case produttrici – in Italia si mantenga un settore automotive competitivo e di qualità. Vogliamo rilanciare una politica industriale che accompagni le imprese in una fase di profondo rinnovamento, senza abbandonare al proprio destino realtà che hanno un grande potenziale e, come avviene in tutti gli altri Paesi, vengono sostenute. Detto questo, cercheremo di capire quali sono le reali intenzioni di Fiat, senza limitarci, come ha fatto Monti, a prendere atto di prospettive generiche. Sulla base delle sue intenzioni proveremo a indicare come intervenire. Quel che è certo è che non avrebbe senso introdurre incentivi alla rottamazione, data la sovracapacità produttiva europea. Punteremo, piuttosto, su sostegni e incentivi alla ricerca e all’innovazione per far in modo che Fiat non perda treni in termini di nuovi prodotti.
Come creerete più occupazione?
Invertendo la rotta di politica economia prevalente in Europa, volta all’inasprimento della fase recessiva. Creando, cioè, sviluppo.
In che modo?
Oltre alla suddetta unione fiscale e alla golden rule, è necessario dare sostegno agli investimenti, coordinare le politiche macroeconomiche, e intervenire per redistribuire i redditi; anche attraverso una riforma fiscale che sostenga il potere d’acquisto delle fasce più basse.
Come cambierà, se Bersani andrà al governo, il Fisco?
Introdurremo, come, d’altro canto, è scritto nella dichiarazione d’intenti del Pd, un’imposta ordinaria sui grandi patrimoni; non per aumentare il carico fiscale, già estremamente elevato, ma per diminuire l’aliquota Irpef sui redditi da lavoro e sui redditi d’impresa, in modo da contrastare il calo del potere d’acquisto delle famiglie.
Verosimilmente, con chi vi alleerete?
Stiamo costruendo un’alleanza, anzitutto, con le forze economiche, sociali, e culturali e partitiche di stampo progressista, lavorando, quindi, perché ne faccia parte anche Sel. Successivamente, cercheremo di far sì che tale alleanza costruisca un patto con l’Udc, per affrontare una fase di governo che si preannuncia difficile. In tutto questo, non ci sarà Di Pietro, perché si è autoescluso.
(Paolo Nessi)