Finsce l’estate, e le strade del Centro tornano a farsi affollate. Anzi, con il prossimo weekend, quando scatteranno i raduni dei fuoriclasse delle “vasche” sue è giù per il centro politico, l’Udc di Pier Ferdinando Casini e Futuro e libertà di Gianfranco Fini  – a Chianciano ci sarà la Festa Nazionale dell’Udc, a Mirabello quella di Fli, mentre la settimana dopo tocca ai rutelliani dell’Api – le vie del centro rischiano di farsi addirittura caotiche. Mentre i protagonisti del bipolarismo sembrano prosciugati dal loro stesso sostegno al governo Monti – il Pdl è ridotto a un ectoplasma, nel Pd è rissa continua anche quando si trovano a festeggiare – il centro va di moda. A ben guardare, però, si tratta di un assembramento più virtuale che reale, come uno di quei “flash mob” che vanno tanto di moda, appeso al materializzarsi di eventi ancora altamente improbabili. Come lo scioglimento (forse) di Futuro e libertà, l’eterna discesa in campo di Luca Montezemolo, che non ci sarà, lo scioglimento dell’Udc per dar vita a un grande raggruppamento moderato (che ci sarà, ma con molta calma: “La Cosa bianca vedrà la luce, ma senza fretta, al momento della convocazione delle urne, quindi non a settembre o ottobre”, ha detto Pier Ferdinando Casini).



Poi c’è il grande magma dei cattolici. Andrea Riccardi, commemorando in agosto la figura di Alcide De Gasperi, ha provato a farne il nume tutelare di una nuova coalizione centrista: “Ha sempre preferito governare con altri partiti, anche quando aveva quasi la maggioranza assoluta”. Il problema è che allora il bipolarismo era nei fatti della Guerra Fredda, e non appeso alle alchimie variabili di una legge elettorale. Così, rispetto alla “svolta di Todi” di un anno fa, il progetto neodemocristiano è ancora a metà strada, sono tutti lì in attesa di una benedizione dalle gerarchie che non arriva (è l’interpretazione generale dell’omelia dl Cardinale Angelo Bagnasco  alla Madonna della Guardia). Del resto, agosto si è risolto in un grande “centro mio non ti conosco”: per Roberto Formigoni “è un’ipotesi fuori dalla storia”, per Riccardi “se ne sente il bisogno, ma non mi candido”, e Casini sta alla finestra.



Ma la cosa che più di tutte contribuisce a rendere il Centro un luogo d’appuntamento virtuale è l’evanescenza del Pdl: da un lato lo fa apparire come un’ipotesi politica credibile e anzi necessaria, dall’altro lo rende vago. In parole povere, il destino del centro è una variabile dipendente da ciò che farà Silvio Berlusconi, e il problema è proprio il suo grande silenzio: tutti sono ormai sicuri del suo ritorno, ma nessuno sa ancora in quale forma ala metempscicosi avverrà. Se il Cav. tornerà in campo con uno schema maggioritario, svuoterà di senso (un’altra volta) il centro. 



Se invece prevarrà l’idea di orientarsi (magari con l’aiutino della legge elettorale) verso una soluzione centrista – o addirittura un bis del governo tecnico, che tutti negano ma potrebbe rivelarsi indispensabile – a svuotarsi sarebbe viceversa il Pdl. Così tutto continua a ruotare attorno un puzzle i cui tasselli troveranno il loro posto solo all’ultimo momento. E questa, evidentemente, è una delle cause della guerra che si sta combattendo attorno al Quirinale, la cui posta in gioco è la possibilità o meno per Giorgio Napolitano di distribuire ancora le carte, al prossimo giro elettorale.

In tutto questo, le poche parole e i molti silenzi di Berlusconi contano. Tutto continua a girare attorno al suo motore immobile. Ad esempio, è bastato che attendesse un giorno per difendere Napolitano sul caso delle intercettazioni per farlo sospettare di collusione coi suoi stessi giornali (Panorama, autore di una copertina sul “ricatto al Presidente”). Poi il Cavaliere ha concesso un’intervista al Foglio, molto netta in difesa del Quirinale, ma questo è servito ai suoi nemici per conferma, anziché smentita. Così Repubblica, il giornale che ha tra i suoi columnist un teorico del ricatto al Quirinale del calibro di Gustavo Zagrebelsky, può permettersi di accusare il Pdl di “strumentalizzare” la vicenda per forzare un via libera alla legge sulle intercettazioni, mentre Mario Monti avrebbe concordato con il Quirinale un “cronoprogramma” che prevede solo la legge della anticorruzione (il mantra dei tecnici è: ce la chiede l’Europa).

Così, mentre il Quirinale è sotto attacco, mentre la questione della giustizia torna a essere centrale (e nel Pdl i malumori crescono), mentre al Centro in molti si agitano per capire se potranno diventare centrali o no, la qualità ectoplasmatica del Pdl e quella enigmatica del suo leader storico rischiano di complicare tutte le partite. E tutti sono lì, in attesa di un fischio di inizio, al centro del campo.