Va finire che non sarà un semplice fuoco fatuo. A dire il vero, l’impressione di essere tanto fumo e niente arrosto Renzi, a molti, la dà; ma un sondaggio commissionato da Libero a Ferrari Nasi & Associati mostra come nel Pd esista una cospicua componente che potrebbe sposare e far valere le ragioni del sindaco di Firenze. Tra gli elettori del Pd, tanto per cominciare, ben l’80% è convinto del fatto che i dirigenti come D’Alema, Veltroni o la Bindi vadano, effettivamente, rottamati. Tuttavia, quando si tratta di fare sul serio, la gente sceglie Bersani. Tra coloro ai quali è stato chiesto chi preferissero tra Renzi o Bersani alla guida della coalizione di centrosinistra, il 57% si è espresso in favore dell’attuale segretario, il 34% dello sfidante e il restante 9% si è dimostrato indeciso. Abbiamo chiesto proprio ad Arnaldo Ferrari Nasi di far luce sui dati emersi dal sondaggio.



Sembra che l’atteggiamento nei confronti di Renzi stia cambiando.

Da statuto del Pd, il candidato premier della coalizione è il suo segretario. Mi risulta, tuttavia, che sulla candidatura di Renzi, in linea teorica impraticabile, lo stato maggiore abbia preferito, finora, non esprimersi esplicitamente. L’impressione, quindi, è che l’entrata di Renzi a gamba tesa nel dibattito interno, con la sua richiesta perentoria di archiviare la classe dirigente obsoleta, abbia messo i dirigenti stessi in un certo imbarazzo. Quasi come se avessero consapevolezza del fatto che, in fondo, le richieste del sindaco di Firenze sono, tutto sommato, giustificate. L’esito del mio sondaggio non fa altro che incrementare tale consapevolezza.



Eppure, tra Bersani e Renzi, la sfida per le primarie le vincerebbe il primo.

In realtà, effettivamente, tra gli elettori del Pd, la preferenza è ancora rivolta all’attuale segretario, seppure con dei margini che di poco superano la maggioranza. Il dato sembra in controtendenza rispetto alla volontà di rinnovamento espressa dai più; la contraddizione si spiega facendo presente, anzitutto, che, con ogni probabilità, i militanti sono conviti del fatto che penalizzare l’attuale segretario danneggerebbe lo stesso partito. Meglio, quindi, mantenere lo status quo. Va anche detto che Bersani non è percepito allo stregua di D’Alema, Rosi Bindi o Veltroni.



Perché?

Perché costoro sono considerati, ormai, esclusivamente degli scalda-poltrone. Di Bersani, invece, viene percepito il ruolo che ricopre. Quanto meno, ha un’occupazione. Ricordiamoci, inoltre, che Bersani, pur essendo coetaneo di D’Alema & Co., viene considerato come leggermente più giovane, avendo trascorso, in passato, meno tempo sotto i riflettori. Da un eventuale vittoria alle primarie, quindi, si determinerebbe, per lui, un doppio vantaggio.

Quale?

Sconfiggendo Renzi, da un lato, dimostrerebbe che, ancora per qualche anno, le giovani generazioni possono essere tenute e bada; d’altro, se il sindaco di Firenze raggiungesse un risultato dignitoso, le sue istanze andrebbero necessariamente preservate. Di conseguenza, Bersani si troverebbe a guidare un Pd in cui la classe dirigente anziana sarebbe stata, effettivamente, spazzata via e, a quel punto, lo dominerebbe incontrastato.

Lei afferma che l’alleanza tra Pd, Udc e Sel è ormai fatta ma nessuno può dirlo ad alta voce prima del termine della competizione elettorale. Tra Sel e l’Udc, chi risulterebbe maggiormente danneggiata dall’alleanza con il “nemico”?

Tendenzialmente, entrambi, se i propri elettori si convincessero che, in realtà, l’accordo è cosa fatta, perderebbero qualche decimo di percentuale.

E Grillo?

E’ un fenomeno che va notevolmente ridimensionato. Attualmente, infatti, quasi tutti i sondaggi contemplano un 50% di persone che non dicono chi voteranno e se voteranno. In una delle mie recenti elaborazioni, ho fatto un esperimento. Ho chiesto, cioè, che gli intervistatori forzassero un po’ la mano con gli intervistati, insistendo laddove non rispondevano. Ebbene, è stato sufficiente compiere questa operazione per far scendere la presunta astensione ad un dato più fisiologico, pari a circa il 30%. Tra i voti così riposizionati, neppure uno è andato all’M5S. Anzi, allargandosi la base dei votanti, Grillo si è ridotto attorno al 12%…

Passando al centrodestra: perché, nel Pdl, non si avverte la stessa esigenza di rottamazione di gran parte del Pd? Anzi, dopo Berlusconi c’è ancora Berlusconi…

Mentre il Pd, con la sua dialettica interna che, spesso, ha anche suscitato non poche ironie, si è sempre strutturato come un partito tradizionale ed ha saputo resistere nel tempo e consolidarsi, il Pdl è un partito che ha sempre coinciso con Berlusconi. E che, senza di lui, sarebbe destinato semplicemente al medesimo declino subito dalla Dc. Che passò dal disporre dei numeri per poter governare da sola a dividersi in una costellazione di partitini, molti dei quali sono spariti mentre l’Udc non ha mai raggiunto numeri a due cifre. Ecco, il Pdl senza Berlusconi potrebbe facilmente passare dal 10% al 5%. 

 

(Paolo Nessi)