Siccome è «ambiguo, reticente e volutamente confuso», resta in carcere. Queste le motivazioni con le quali il Tribunale del Riesame, dopo che la Cassazione ha annullato il primo provvedimento detentivo, ha rigettato la richiesta di Luigi Lusi di ottenere gli arresti domiciliari. Il senatore del Pd è accusato di aver sottratto 13 milioni di euro alla Margherita, all’epoca in cui ne era il tesoriere. Il 20 giugno scorso, Palazzo Madama aveva dato l’autorizzazione all’arresto. Su 195 senatori presenti, i votanti erano stati 169; tra questi, 155 si erano espressi a favore dell’arresto, 13 contro, mentre uno si era astenuto. Peccato che Lusi, a rigor di legge, non avrebbe dovuto farsi neanche un giorno di galera. Vittorio Sgarbi ci spiega perché.



Come valuta la carcerazione preventiva di Lusi e la sua conferma da parte del Riesame?

Ora come allora, ripeto: non c’erano e non ci sono i requisiti fondamentali per tenerlo in carcere; l’indagine poteva tranquillamente procedere senza che venisse disposta la custodia cautelare. Non si capisce, infatti, quale rischio si sarebbe corso nel lasciarlo in libertà. Non poteva reiterare il reato, perché la Margherita non esiste più; non poteva inquinare le prove, perché erano già state inquinate; non aveva nessuna intenzione di fuggire, perché l’ipotesi, da parte di un senatore, è del tutto priva di credibilità. E’ chiaro a chiunque che avrebbe preferito continuare a sedere in Senato sino al termine del suo mandato.



Ma lei lo giudica colpevole o no?

La sua colpevolezza mi pare evidente. Ma, non esistendo i tre criteri suddetti per giustificare la custodia cautelare, si è trattato di un’evidente violazione del codice penale. Inoltre, il Parlamento non deve valutare la colpevolezza o meno, quanto il fumus persecutionis; ovvero, avrebbe dovuto verificare che la magistratura non superasse le proprie prerogative con intenti persecutori.

Perché i senatori hanno permesso tale violazione?

Il giudizio negativo su Lusi ha influenzato la loro scelta; hanno voluto dimostrare, con il loro voto, di averne voluto punire la colpa per aver fatto quello che ha fatto. Il profilo morale, in tal caso, si è sovrapposto a quello penale.



Il Senato dovrebbe agire sul piano della legge.

Su di questo non c’è dubbio. Invece, ha agito sulla scorta di una suggestione etica. Va anche detto che il suo atto ha rappresentato un inchino, dettato dalla paura, nei confronti della magistratura che, dal canto suo, ha inteso dimostrare di essere preminente rispetto al Parlamento.

E così?

Beh, direi che viviamo in una Repubblica commissariata dalla magistratura, dove uno scopre che un magistrato può alzarsi la mattina e decire di intercettare il capo dello Stato. La potestà di valutare il bene e il male, ormai, è solamente nelle mani di questi. Il che è abbastanza inquietante.

C’è modo di uscirne?

Non per casi del genere. Se il Senato avesse votato per non mandare in galera Lusi, si sarebbe detto che ha voluto proteggere un suo membro. L’arbitrio perpetrato in tanti anni di abusi, da parte della politica, ha determinato le condizioni in cui chi si fosse alzato per difenderlo e per richiamare un principio giusto, si sarebbe confuso con quanti, in questi anni, ne hanno approfittato; il terreno, ormai, è troppo inquinato per riuscire a muoversi in maniera coerente. La politica avrebbe dovuto dare prova di una tale serietà da far ritenere un atto del genere corretto, seppur impopolare. Solo se avessimo avuto, quindi, una classe dirigente specchiata avremmo potuto pensare che, salvando Lusi, si sarebbero semplicemente applicate delle regole.

Lusi, quindi, è destinato a restare in galera?

La soluzione del problema non può provenire dalla politica, che ha abdicato al suo dovere, ma da un magistrato onesto che ponga rimedio all’errore dei suoi colleghi.

Più in generale, la politica ha modo di riappropriarsi delle sue prerogative?

Può darsi, ma la vedo dura. In generale, ogniqualvolta si ripresentasse un caso simile a quello del senatore Pd, si darebbe l’autorizzazione a procedere all’arresto dell’ennesimo parlamentare. Saremmo, quindi, al punto di partenza; a meno che i comportamenti dei politici diventino corretti al punto che laddove ci fosse un’indagine su cui c’è ragione di dubitare, il Parlamento potesse reagire. Altrimenti, deputati e senatori continueranno a domandarsi: “Perché dovremmo, in nome di un principio, difendere un ladro?”. Una tale inversione di rotta mi appare del tutto improbabile. Di certo, dubito che ne sarà capace l’attuale classe dirigente. Occorrerà aspettare almeno la prossima.