Caro direttore,

Negli ultimi mesi il leader dell’Idv non sembra aver compreso la delicatezza della propria situazione politica, forse perché distratto dai flash e dai salotti sulla trattativa Stato-mafia.

Circa un mese fa, Di Pietro ha rilasciato a Montecitorio la seguente dichiarazione: «La maggioranza non esiste più. E’ solo una banda di morti viventi, che per nutrirsi cannibalizza il Paese, e noi dell’Italia dei Valori li sfidiamo apertamente». Se avesse già saputo dell’inizio anticipato della campagna elettorale, forse si sarebbe risparmiato alcune uscite, come il video comparso sul sito dell’Idv – e poi ritirato – in cui Monti, Alfano, Bersani e Casini camminano per la Capitale sotto le sembianze di quattro zombie.



Il 28 agosto, a Reggio Emilia, Pierluigi Bersani è passato al contrattacco e ha dichiarato di preferire Vendola a Casini: oltre ad aver inaugurato una nuova alleanza, capace di guidare la sinistra alle prossime elezioni, il segretario del Pd ha inteso confermare – in filigrana – di essere la voce del partito, particolare rilevante in vista delle primarie. La terza novità è stata l’assenza di un qualunque riferimento all’alleanza con Di Pietro, che nelle parole di Bersani è sempre più vicino al populismo di Grillo, nonché ai toni della “destra peggiore”: «Io ho detto, e ribadisco, una cosa ben precisa: parlare di cadaveri, seppellimenti e zombie significa usare un linguaggio fascista».



Di Pietro non deve aver mandato giù l’accusa, perciò non è stata una sorpresa ritrovarlo nervoso e “rabbuiato” (Giuliano Ferrara dixit) durante la trasmissione Bersaglio mobile, in diretta su La7. L’ex pm ha sbottato contro Enrico Mentana, che lo interrogava sulla futura coalizione di sinistra; e quando, verso la fine della puntata, il conduttore sembrava proclamare l’impossibilità di un’alleanza Pd-Idv, Di Pietro ha confermato con rigore “tecnico”.

L’operazione di scarico dell’Italia dei Valori è andata ultimamente accelerando, anche grazie all’intervista rilasciata da Reginald Bartholomew a Maurizio Molinari de La Stampa e pubblicata il 29 agosto (un giorno dopo la morte del diplomatico); l’ex ambasciatore americano in Italia ha raccontato al giornalista alcuni retroscena poco ortodossi di Mani pulite. “Ma perché quella dichiarazione di Bartholomew, quasi in punto di morte, arriva dopo tanto tempo?” Con questa domanda Gianluigi Da Rold ha lanciato una provocazione ai lettori del Sussidiario, terminando un articolo che sottolinea i coni d’ombra lasciati dall’ennesima “versione Di Pietro” su “tangentopoli”. E’ importante ricordare che La Stampa è un quotidiano di sinistra, per intuire uno dei motivi per cui l’intervista a Bartholomew sia uscita solo pochi giorni fa, dopo che il feeling fra Di Pietro e Bersani era andato deteriorandosi ancora di più.



Un’altra causa dello sfilacciamento della sinistra è stata sicuramente lo schieramento (quasi obbligato) di Repubblica in favore di Napolitano – quindi contro Di Pietro –, nello scontro sulla trattativa Stato-mafia. Il primo quotidiano della sinistra italiana ha preso le distanze dal suo editorialista Gustavo Zagrebelsky, dal Fatto Quotidiano, da Grillo e da tutti coloro che giustifichino l’operato di Antonio Ingroia e della procura di Palermo. In ultima analisi, dunque, anche dalle tesi di Antonio Di Pietro.

Forse “Noi dell’Italia dei Valori” non credeva di generare tanto scompiglio a sinistra, ignaro del faro di luce acceso sui blocchi di partenza della campagna elettorale. E a ben vedere, poiché i riflettori sul 2013 erano ancora spenti, anche se forse per poche settimane. Le primarie del Partito Democratico, invece, si stavano già avvicinando, per questo Di Pietro ha scelto indubbiamente il momento sbagliato per stuzzicare il segretario del Pd, provocando una reazione dura e attirando umori sinistri.

Il danno ormai è fatto e Bersani ha la preoccupazione di svuotare il bacino elettorale dell’Italia dei Valori, prospettiva confermata dall’Espresso. Mentre è difficile che possa farlo il Pd, è più ragionevole che il compito spetti a Vendola, forte di un partito che non ha preso parte al governo Monti (non avendo rappresentanza in parlamento), protagonista di una lotta contro i tecnici, soprattutto su tasse e lavoro, che ha raccolto credito in tutto il Paese.

Certo fa sorridere che oggi in Italia, contrariamente alla Prima Repubblica, la politica debba inseguire i giornali della propria parte e schierarsi di conseguenza. D’altronde è facile capire quanto la stampa abbia un potere di persuasione più attraente dei partiti: giocoforza, ciò impone di ristabilire le gerarchie di chi può spostare gli equilibri, senza dimenticare i proprietari delle singole testate. Forse è giunto il momento in cui la presunta “casta” torni – quantomeno – a recitare un ruolo da protagonista nella sceneggiatura dell’anno che verrà. Il final countdown, ormai, è cominciato.

 

(Luca Maggi)