Bersani apre a Monti, il quale prende tempo, spiegando come sia prematuro affrontare il problema delle alleanze. Ma non è l’unica questione aperta nel Partito Democratico. Dai candidati per Camera e Senato alla nuova linea che Bersani sta imprimendo al partito dopo la discesa in campo di Monti, sono molti gli interrogativi su quanto sta avvenendo in quello che tutti i sondaggi danno come il primo partito italiano. Ilsussidiario.net ha intervistato il senatore del Pd, Stefano Ceccanti. Che cosa ne pensa del modo in cui sono state scelte le candidature per Camera e Senato La legge vigente si presta molto male a un coinvolgimento democratico dei cittadini nella scelta dei rappresentanti e Bersani aveva indubbiamente l’esigenza di trovare un metodo ragionevole per rispondere a quella finalità. Un impegno quasi impossibile come risalire controcorrente da uno strapiombo. Tra i tanti metodi possibili, tutti inevitabilmente con delle controindicazioni, quello scelto però non è stato uno dei migliori. La scelta dei collegi provinciali, i tempi ristrettissimi e la chiusura dell’elettorato a chi già si era registrato prima, hanno determinato una prevalente chiusura identitaria sull’elettorato di appartenenza in una cornice localistica.



Come valuta l’apertura di Bersani nei confronti di un’alleanza con Monti, e la risposta di Monti a Bersani?

Siccome non vedo in Italia altre forze responsabili oltre il Pd e Monti e vedo un compito durissimo per chi governerà, non posso che auspicare un accordo ampio tra Pd e Monti. Tutti e due, però, si stanno muovendo con alcune contraddizioni: il Pd apre a Monti ma dopo aver realizzato una certa regressione identitaria che rende l’apertura meno facile e Monti ha la tendenza a sfuggire nel dare una risposta chiara, soprattutto sul fatto che se alleanza ha poi da essere siano decisivi per essa, e in particolare per la sua guida, gli equilibri del voto.



Per quale motivo ritiene di non essere stato candidato? Fino a che punto è un esito delle parlamentarie e fino a che punto è una scelta dei vertici del partito?

Dal momento in cui Monti si è candidato è prevalsa la logica di stabilire una linea di demarcazione netta, punendo gli esponenti del Pd che lealmente da dentro il partito avevano insistito per una continuità dell’azione di governo, che pure è il presupposto per l’alleanza di cui parla Bersani. Alle parlamentarie, per come erano congegnate, non potevo partecipare non avendo un consenso territorialmente concentrato ed essendomi concentrato su temi nazionali (libertà religiosa e riforme istituzionali) non potevo acquisirlo. Sarebbe servito ad esempio un collegio nazionale per l’elezione di una parte. Il listino avrebbe poi potuto e dovuto riequilibrare nel senso del pluralismo, ma invece è stato utilizzato per confermare i risultati delle parlamentarie. Al di là di chi è materialmente responsabile, non c’è dubbio che, nel bene e nel male, sia alla fine la segreteria la responsabile politica delle scelte operate.



Alla luce di quella che potrebbe essere la composizione del nuovo parlamento, nella prossima legislatura si riuscirà ad approdare a una riforma elettorale?

Io penso che sia decisiva la scelta dei tempi. L’esperienza ha dimostrato che se la riforma non si fa ad inizio legislatura, sotto il velo di ignoranza dei rapporti di forza futuri, poi non si riesce più.

 

Lei ha dichiarato che il Pd sconta una mancanza di pluralismo. Per quale motivo ritiene che primarie e parlamentarie non siano bastate a garantire il pluralismo?

 

Perché nella scelta degli strumenti, accanto alla giusta valorizzazione del pluralismo dei territori e dell’elettorato di appartenenza, bisogna anche trovare i metodi di rispecchiare un pluralismo di posizioni politico culturali su base nazionale e l’attrattività per l’elettorato più di confine. Bersani da ministro ha perseguito più di ogni altro la strada delle liberalizzazioni.

 

Nella prossima legislatura riuscirà a fare le riforme che l’Italia attende da decenni?

 

Credo di sì e penso che una collaborazione tra Bersani e Monti renda ambedue più forti nel perseguire queste riforme, con una sinergia positiva, riducendo in entrambi i campi le forze frenanti.

 

Con Bersani segretario il principale partito italiano di centrosinistra ha completato il processo di trasformazione iniziato nel 1991?

 

A me sembra che il guado riguardi il sistema nel suo complesso perché la seconda fase della repubblica ci ha dato l’alternanza, prima esclusa, un bene prezioso da mantenere; essa però non ci ha dato la governabilità, che dipende non solo da spinte volontaristiche dei partiti ma anche da una revisione della seconda Parte della Costituzione.

 

Per il Financial Times, Bersani si starebbe spostando troppo a sinistra. Condivide questa analisi?

 

Che io la condivida o meno conta obiettivamente poco, di fronte al fatto che lo scriva il Ft. Il punto sta nell’idea di recuperare il rapporto col centro quasi solo attraverso l’alleanza con Monti anziché rivolgersi anche direttamente e principalmente all’elettorato centrale. Non basta la scelta di qualche indipendente per bilanciare. Su questo si dovrà lavorare. Ci aveva provato Renzi, ma non mi sembra che dopo le primarie si sia rivelato all’altezza nel far vivere questa prospettiva e non perché dovesse mantenere una conflittualita’ superata. Doveva passare ad altre forme di impegno, invece e’ sembrato adottare una linea minimalista perché rischia di scoprire parte dell’elettorato pd.

 

(Pietro Vernizzi)