Albertini, Mauro e Ichino. Monti se li è giocati tutti in una volta sola. Li ha presentati come il suo “tridente” in Lombardia, ovvero i capilista in Senato del suo movimento. Intervenendo alle presentazione del manifesto “Nasce a Milano la nuova politica”, ci ha tenuto a precisare perché ha derogato dalla volontà di candidare, prevalentemente, esponenti della cosiddetta società civile, spiegando che sarebbe elitario pensare che i “buoni” stiano esclusivamente in quest’ultima: «La politica – ha detto – va modificata, e si può fare fondendo il meglio che viene dalla società civile con il meglio che viene dalla politica». A chi gli ha chiesto se il tris d’assi concorra a rendere ingovernabile il Senato (dove il premio di maggioranza è attribuito su base regionale, e alla Lombardia spettano a chi vince ben 27 seggi), ha risposto: «Avrei messo in moto tutto questo per poter essere una entità di minoranza ma di minoranza bloccante per rendere più divertente la vita del Senato?». Insomma, vuole vincere. Ne è convinto Antonio Polito, editorialista de Il Corriere della Sera, che ci spiega quali scenari si prefigurano.
Secondo lei il vero obiettivo di Monti va realmente al di là dell’ingovernabilità di Palazzo Madama?
In genere la logica per cui si fanno le liste è quella di massimizzare i risultati. E’ normale che si cerchino le candidature di prestigio per prendere più voti. Del resto, sarebbe singolare se Mario Monti, a differenza di tutti gli altri, dovesse decidere dove gli conviene perdere… Non dimentichiamo che le recenti dichiarazioni, anche piuttosto dure, contro lo stesso Pd con il quale si presume che potrebbe dover governare, lasciano intende che si sta giocando la sua partita a tutti gli effetti.
Da questo punto di vista, quindi, come giudica la scelta del tridente?
Si tratta di tre “lombardi”; quantomeno politicamente. Albertini ha fatto il sindaco di Milano, Mauro, oltre che capodelegazione in Europa, è sempre stato un esponente del Pdl lombardo mentre Ichino è uno degli uomini che maggiormente può parlare alle imprese rispetto al mercato del lavoro. In sostanza, Monti ha deciso di collocare nella Regione chiave i tre uomini migliori che aveva.
La Lombardia, infatti, potrebbe decidere le sorti del Senato…
Sì, ma attenzione: non conta solo chi vince e conquista il premio di maggioranza, equivalente a 27 seggi; bisogna tenere conto anche dei rimanenti 22, e dei voti che avranno preso i partiti perdenti per spartirseli. Vale lo stesso ragionamento anche per le altre Regioni. Ma il focus, ovviamente, è sulla Lombardia perché lì il numero di seggi è più alto.
In ogni caso, crede che in Lombardia la lista Monti potrebbe ottenere un risultato diverso da quello delle altre regioni?
Il voto dato alla lista Monti non sarà certo di tradizione (dato che esiste da una settimana) o di scambio (ha, finora, ben poco da scambiare); sarà, presumibilmente, un voto d’opinione. E, considerando che il voto d’opinione è più forte nelle aree metropolitane, con ogni probabilità andrà meglio che altrove. La presenza di candidati come Albertini, Mauro e Ichino accrescere l’ipotesi.
Come valuta il fatto che Albertini sia candidato sia in Regione che in Senato?
E’ la stessa operazione fatta nel Lazio con la Bongiorno, volta a produrre quell’effetto trascinamento derivante dal prestigio personale.
Dal canto suo, il Pd, corre per vincere. Eppure, l’impressione, a partire dalle dichiarazioni di Enrico Letta («Monti è il nostro interlocutore privilegiato, sostenga il governo Bersani») è che stia montando la consapevolezza che sarà obbligato a governare con Monti
Beh, obbligato no. Sta di fatto che un’alleanza composta da deputati vendoliani, appartenenti alla sinistra Pdinterna-Cgil, e all’area di Renzi, non è questo gran modello di coesione politica. Del resto, lo stesso Bersani ha sempre fatto presente che la necessità di allargare la coalizione dopo le elezioni esiste indipendentemente dai risultati ottenuti. Pensare di governare questa fase così difficile della vita italiana avendo strappato la maggioranza dei seggi con circa 40% dei voti reali è, quantomeno, azzardato. In sostanza, l’idea di Bersani è che i progressisti vincono, ma si aprono ai moderati.
Crede che, ad oggi, si tratti di una strada praticabile?
Il problema è capire quale prezzo, sul fronte programmatico, sono disposti a pagare sia il centrosinistra che il centro. Resta aperta, ovviamente, la partita su chi, posto che questa alleanza si faccia, avrà la presidenza del Consiglio.
(Paolo Nessi)