Intervenendo all’assemblea di Orvieto dell’area Libera del Pd, Monti ha lanciato un appello ecumenico: «Qualunque sia l’esito delle prossime elezioni spero che si faciliti la collaborazione tra punti riformisti che esistono più o meno in tutti partiti». Poi, si è detto convinto del fatto che i tradizionali schieramenti siano del tutto inadeguati a fronteggiare la fase che stiamo vivendo. E che è giunto il momento di superare le classiche distinzioni destra-sinistra. A livello italiano, ma anche europeo.  Abbiamo chiesto a Ugo Finetti come potrebbero evolvere il dibattito e lo scenario politico.  



L’esigenza espressa da Monti è condivisibile?

Destra e sinistra sono nate nell’assemblea della Rivoluzione francese e, effettivamente, è lecito parlare del superamento del tipico schema classista. Intendo dire che oggi è facilmente ipotizzabile una collaborazione tra certe categorie d’impresa e i lavoratori sul fronte, per esempio, della lotta alla stretta creditizia. Le distinzioni che esistono a livello europeo tra le famiglie popolari e social-democratiche, invece, difficilmente sono superabili. Ci sono temi e contenuti che sono tutt’altro che fantasiosi. L’Italia, però, è un caso particolare. Abbiamo assistito, infatti, al fallimento del bipolarismo, inquinato da veleni, lotte esacerbate e da una dialettica incentrata su comici e magistrati.



La convergenza dei riformisti dopo le elezioni è possibile?

Temo di no. All’epoca dell’insediamento del governo tecnico si erano create le condizioni per una convergenza tra Pd e Pdl, tali da potere far emergere le componenti più riformiste della politica. Nel momento in cui Monti, da punto di riferimento per le forze più equilibrate è diventato il concorrente sia dell’uno che dell’altro schieramento, si sono acuite le ragioni degli antimontiani, con il conseguente ricompattamento tra Pdl e Lega e tra il Pd e Sel. Anche se, tra uno schieramento e l’altro esiste una fondamentale differenza.



Quale?

Il centrodestra è compatto contro Monti, mentre nel centrosinistra c’è una componente, quella a destra di Bersani, che (nonostante in seguito alle primarie dei parlamentari risulti in difficoltà) continua a ritenere necessaria, dopo le elezioni, l’interlocuzione con l’attuale premier. Lo stesso Pd, nel suo insieme, non esclude un dialogo. Del resto, Monti si sta presentando come un anti-Berlusconi sobrio. Mentre la possibilità di dialogo post elettorale tra il capo del Pdl e il professore è esclusa, quella tra Bersani e Monti è verosimile.

In cosa potrebbe consistere?

Dipenderà dai fattori di ingovernabilità che si produrranno dopo le elezioni e dai voti che prenderanno gli schieramenti. Occorre capire se l’alternativa di Casini e Monti possa dare una maggioranza al Pd anche al Senato, o se si giunga ad un’intesa con il Pdl che potrebbe richiedere una fase costituente, senza porre dei prezzi onerosi. Se Berlusconi avrà voce in capitolo, potrebbe creare un’alternativa di appoggio. Resta da capire, inoltre, come si orienterà il capo dello Stato.

Attualmente, come si sta muovendo?

Anzitutto, sta tenendo un basso profilo per evitare polemiche. Nominare dei senatori a vita creerebbe parecchi scontenti e si sta riservando una posizione di arbitro. Dopo le elezioni, ci sarà il passaggio più delicato. Non dimentichiamo che le prime consultazioni saranno con il presidente del Senato e della Camera. La nomina dei quali sarà già il riflesso della maggioranza che, eventualmente, si sarà venuta a determinare. Resta il fatto che la situazione è talmente fluida che rende pressoché impossibile fare qualsivoglia previsione. Basti pensare che è sufficiente una trasmissione per spostare un numero significativo di voti.

 

(Paolo Nessi)