Non si può nascondere che la mescolanza tra leadership e premiership berlusconiane (che hanno oscurato tutto il resto) e porcellum (che ha eliminato la scelta diretta dei rappresentanti) ha, praticamente, esautorato il Parlamento. Il ruolo di deputati e senatori, specialmente negli ultimi anni, è stato ridotto alla timbratura del cartellino. Se volevano essere ricollocati nelle liste dei loro partiti anche alle elezioni successive, dovevano votare disciplinatamente. Con Monti le cose non sono cambiate, anzi. Al limite, si è preso atto del fatto che, nella penombra mediatica, il Parlamento ha pur sempre continuato a svolgere un ruolo molto importante, spesso sottaciuto, attraverso le diverse commissioni. Ora cosa accadrà? Lo abbiamo chiesto a Gianfranco Pasquino, politologo, docente nell’Università di Bologna.



Il Pd è stato il primo a completare le liste. Che gruppo parlamentare si sta delineando?

Direi che Bersani, al di là del risultato delle elezioni, avrà costruito un gruppo parlamentare, in larga misura, a sua immagine e somiglianza. I capigruppo alla Camera e al Senato, tanto per cominciare, saranno sicuramente di stretta osservanza bersaniana.



Ci definisca tale “osservanza”.

Diciamo che è rappresentata da quella determinazione volta a orientare il partito leggermente più a sinistra e vicino a Sel ma, comunque, in rapporto con il centro, nell’auspicio che quest’ultimo non sia particolarmente forte.

Chi sono i bersaniani?

Non hanno necessariamente un nome e un cognome particolarmente visibile. Sappiamo per esempio, tuttavia, che il prossimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio sarà Vasco Errani, da sempre molto vicino al segretario del Pd. Per il resto, possiamo considerare bersaniani almeno 200 parlamentari: tutti quelli, cioè, che sono stati inseriti nel listino, nonché la maggioranza delle donne che dovranno alla norma della doppia indicazione di genere introdotta da Bersani, in occasione delle primarie, la loro elezione.



Come valuta, invece, le candidature della cosiddetta società civile come quelle di Massimo Mucchetti, Pietro Grasso, Maria Chiara Carrozza o Corradino Mineo?

Si vuol dar l’idea di un partito sufficientemente variopinto. Se, tuttavia, teniamo conto di ciò che dovrebbe essere un gruppo parlamentare, non possiamo che essere del tutto contrari a queste forme di reclutamento.

Perché? 

Tanto per cominciare, tutti i giornalisti che sono entrati in Parlamento si sono sempre trovati malissimo. Loro, abituati ad un mestiere che se fatto bene è estremamente esigente, risultano normalmente del tutto ininfluenti. Così come tutti gli altri rappresentanti della cosiddetta società civile. Più in generale, Bersani avrebbe dovuto considerare che un gruppo parlamentare ha bisogno di persone competenti in regolamenti, capaci di scrivere un emendamento e in grado di rapportarsi con i diversi centri d’interesse. E, da questo punto di vista, ha fatto malissimo a non tenersi strette le competenze di quei parlamentari che firmarono il sostegno all’agenda Monti, tra i quali c’erano Stefano Ceccanti, Salvatore Vassallo e Pietro Ichino. Persone non solo estremamente capaci, ma in grado di mantenere un raccordo con il centro.

Anche Monti candida persone del tutto estranee alla politica, come Valentina Vezzali, Annalisa Minetti e Alberto Bombassei.

Vale lo stesso ragionamento. Ripeto, in via di principio, la società civile non ha grandi competenze politiche. Guardi, se proprio si vuole portare in Parlamento personaggi di questo tipo, sarebbe necessario prevedere un minimo di cursus honorum. Io, addirittura, introdurrei non tanto il limite massimo delle due legislature, ma il limite minimo… Ma, del resto, lo stesso Monti sa bene che, nella sua lista, sarà l’unico a contare qualcosa.

Crede che anche gli imprenditori siano destinati all’irrilevanza?

Beh, uno che continua a incidere c’è… In ogni caso, uno o, al massimo, due imprenditori potrebbero contare qualcosa se avessero cariche di governo. Dubito, tuttavia, che un capo d’azienda calato in politica abbia, fin dalla sua prima esperienza in Parlamento, la capacità di fare il ministro. Da questo punto di vista, non capisco perché Monti si sia lasciato sfuggire persone come Giarda o Grilli; uomini estremamente competenti e in grado di fare il proprio mestiere. Invece, si è limitato a cooptare Moavero.

Come considera, invece, la candidatura del tridente Albertini-Mauro-Ichino?

Credo che se la scelta sarà stata strategicamente opportuna ce lo diranno gli elettori. L’impressione è che in Lombardia la macchina dei voti continua a essere Comunione e Liberazione. Bisognerà vedere se Monti, di conseguenza, avrà accesso a tale macchina.

Ha senso ragionare sulla composizione delle liste del Pdl, dato che sarà sempre e comunque Berlusconi a comandare? 

Guardi, questa volta credo che anche altre voci concorreranno a definire la lista. Indubbiamente, per esempio, Alfano ha acquisito una certa conoscenza del partito; anche Verdini ha un certo potere e una buona conoscenza, mentre in tanti, avendo conquistato delle posizioni sul territorio, rivendicheranno probabilmente una promozione. Resteranno a galla, sicuramente, gli ex socialisti come Brunetta, Sacconi o Chicchitto. D’altro canto, si tratta di persone che, indubbiamente, hanno delle capacità. Tanti che erano lì per mero opportunismo, o perché graziati dall’ex premier, saranno messi alla porta.

E le veline?

Hanno fatto il loro tempo. Diciamo che ci sarà una riduzione dell’elemento folkloristico. E, probabilmente, anche di quello giudiziario.

Eppure sembra che Dell’Utri, Cosentino e Milanese saranno candidati.

Evidentemente, ciascuno di loro dispone di una qualche modalità per farsi ripescare. Dell’Ultri, continua a essere considerato da Berlusconi un amico e un innocente. Gli altri due bisogna capire se effettivamente saranno ricandidati e, soprattutto, in quale posizione.

Cosa ci dice, infine, della candidatura di Emilio Fede?

E’ uno scandalo. E’ un uomo di 80 anni, su cui pende un processo, che non ha alcuna competenza di natura politica. Se Berlusconi lo candida perché è un amico posso capirlo. Ma, dal punto di vista della logica parlamentare, non ha alcun senso.

 

(Paolo Nessi)