Caro direttore,

La profonda impressione suscitata in tanti di noi (e in me che scrivo) dal recente Comunicato di Comunione e Liberazione sulle elezioni mi spinge a cercare una risposta alle obiezioni di diverse persone con le quali ho parlato in questi giorni.

Ho sentito molta preoccupazione per la fine dell’unità dei membri di Cl in politica, e le critiche mosse all’intervento – limpido e molto educato – dell’On. Mario Mauro uscito l’altro giorno proprio su queste colonne lo confermano. C’è la paura della diaspora. Ma io mi domando: la paura della diaspora non rischia di costituire il deterrente peggiore, specialmente in un momento come questo?



Provo a dirla altrimenti. Il problema dei cattolici in politica può semplicemente ridursi, oggi, a una chiamata a raccolta intorno ai cosiddetti valori non negoziabili? Quella dei valori non negoziabili non rischia di trasformarsi – e forse si è già trasformata – nell’ennesima ideologia, capace solo di bloccare il nostro cammino di crescita, creando divisioni non necessarie? E’ a questa posizione di pura difesa che un politico cattolico deve votare la propria vita?



Io dico che in tutto questo non bisogna mai dare nulla per scontato. Il problema non è quello di un “sì” o di un “no” rispetto alla battaglia su questi valori. Il problema è come leggiamo i segni dei tempi: se, cioè, la battaglia è sui valori in sé oppure sul segno che essi rappresentano, rinviando a qualcos’altro.

La politica è il riferimento a questo “qualcos’altro” applicato al bene comune. Non è, perciò, una questione di principi generali, fossero anche i più sacrosanti di questo mondo.

Per quanto mi riguarda, mi troverei molto a disagio se dovessi lottare al fianco di qualcuno che condividesse con me solo quei valori, perché sarebbe una condivisione ambigua, e prima o poi ne dovrei pagare un prezzo esagerato in termini di libertà. Se a chi incontra la mia esperienza cristiana e ne viene colpito io non chiedo nessuna credenziale o precondizione ideologica, non vedo perché bisognerebbe farlo in politica.



Immaginiamo, tanto per fare un po’ di letteratura, che Nichi Vendola diventi di Cl. Nessuno di noi può dire che questo non succederà mai, e se lo dicessimo saremmo degli ipocriti.

Allora cosa faremmo: chiederemmo a Nichi Vendola di iscriversi nelle liste di Berlusconi? Gli imporremmo di lasciare l’uomo con cui vive?

Ma Cl non è mai stata questa cosa: mai, fin dal primo istante, in cui il giovane sacerdote don Luigi Giussani si ritrovò davanti tre ragazzi decisi a sfidarlo su quello che aveva detto durante la prima ora di religione al liceo Berchet di Milano. L’apertura della questione, così come si presentò quel giorno, resta il paradigma di tutto quello che venne dopo: un’apertura tale che l’esperienza di Cl è condivisa perfino da diversi musulmani ed ebrei.

Oltretutto, l’insistenza sui valori non negoziabili rischia di generare un certo cinismo – di cui si è avuta prova in diverse occasioni – per cui a chi condivide questi valori è permesso tutto. E chi si azzarda a dire che questo non è va bene si becca anche la bolla di moralista – un po’ come quel vecchio camorrista che chiamava “ricchione” suo nipote solo perché era una brava persona.

Il cuore dell’esperienza cristiana non è la difesa della famiglia o la lotta contro l’aborto ma l’imprevedibile incontro con la risposta al nostro bisogno di verità, giustizia, amore, bellezza. Il politico non è, o comunque non è più un delegato che assume alcuni aspetti di quella vita trasformandoli in valori non negoziabili per poi giocarli nell’agone dei partiti. Il politico è interessante solo in quanto partecipa di quella vita, perché è quella vita il vero soggetto della politica.

La mia impressione è che il mondo politico – come tutti i “mondi” in generale (come il “mondo cattolico”, espressione che detesto con tutto il cuore) – non sia, oggi, un osservatorio particolarmente acuto sulla situazione odierna. Nulla da eccepire sull’arte del compromesso e sul gioco delle alleanze, però è necessaria una visione forte, e io constato che questa visione, oggi, non ha sede nella politica istituzionale.

 

 

La visione si produce, oggi, in luoghi precisi, in quei contesti d’esperienza, sempre più splendidi e numerosi, che io chiamo “nuovi monasteri”. Sono comunità, scuole, associazioni, istituti professionali, cenacoli d’artisti e tante altre cose: luoghi che non vanno “interpretati” politicamente, perché essi stessi sono la politica, oggi, in quanto sono la vita.

La vita (e in essa la Santa Chiesa) è come un’immensa cattedrale, la più splendida che si sia mai vista, ornata con le opere d’arte più mirabolanti, ma illuminata solo dalla luce delle candele. Le candele sono le nostre testimonianze: ciascuna di esse illumina, rende un po’ più visibile la bellezza del luogo, così che, luce dopo luce, i dipinti escono dall’oscurità e la meravigliosa architettura inizia a disegnarsi davanti ai nostri occhi. Così, piano piano, possiamo cominciare a conoscere e apprezzare la Mano misteriosa che ha fatto tutto questo. 

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