Dylan Dog non vota Rivoluzione Civile, benché manifesti e immagini sulla Rete dicano il contrario. A precisarlo è stata la storica casa editrice Bonelli che pubblica non solo Dylan Dog, ma tanti altri fumetti quali Tex Willer, costretta a diffondere una diffida contro l’utilizzo dei suoi personaggi nei manifesti della lista Ingroia. “Basta con questi mostri che ammorbano le istituzioni” dice un indignato Dylan Dog in uno di questi: a dire basta è invece la Bonelli, che ha fatto sapere che “nessuno dei nostri personaggi può essere strumentalizzato e in alcun modo affiliato con alcuna formazione politica”. Secondo il professor Mario Morcellini contattato da ilsussidiario.net, “bene ha fatto la casa editrice Bonelli a diffondere tale diffida. Sorprende che un uomo del diritto ignori la proprietà privata dei prodotti  intellettuali e dunque ignori il minimo di legislazione sui prodotti editoriali”. Aggiunge  Morcellini che “desta meraviglia il fatto che quando si entra in politica i tecnici si comportano esattamente in termini oserei dire di arroganza ma anche di aspettativa del potere esattamente come i politici del passato”.



Uso indiscriminato e illegittimo di personaggi dei fumetti: che tipo di strategia comunicativa politica è questa?

E’ una strategia comunicativa allo stato puro nel senso che non ha nessun rapporto con la   politica e nessun rapporto soprattutto con i bisogni informativi dettati dall’eccezionalità della situazione.



A quale scopo mira allora?

Sembrerebbe che sia un tic dei soggetti politici nuovi che si presentano senza una tradizione alle spalle e sentono perciò il bisogno di recuperare rispetto agli altri che hanno una piccola rendita comunicativa di posizione lavorando sull’immaginario degli italiani. Su cioè preesistenze come se la tradizione dei fumetti fosse già di per sé un corpus degli italiani da cui attingere.

Invece?

Intanto è dubbio la scelta dei personaggi politici. E’ meno dubbia la scelta del fumetto perché il fumetto davvero è stato uno dei media più innovativi della cultura di massa all’italiana, ma appare tropo chiaro che sia una scelta fatta per andare a finire sui giornali.



Una sorta di auto pubblicità?

Sembra comunicazione che alimenta altra comunicazione. E a me sembra che in questo momento la politica italiana avrebbe bisogno di parlare di temi e di realtà e non di comunicazione.

Sorprende poi che sia il partito di un giudice a farsi beccare “fuori legge”.

E’ sorprendente che un uomo del diritto ignori la proprietà privata dei prodotti intellettuali e ignori il minimo di legislazione sui prodotti editoriali. Desta meraviglia di quanto quando si entra in politica i tecnici si comportano esattamente in termini oserei dire di arroganza ma diciamo di aspettativa del potere esattamente come i politici del passato. Aggiungo che la situazione italiana è davvero sconvolgente.

In che senso?

 

L’Italia non è mai stata colpita da tanti cambiamenti dopo la vicenda di tangentopoli come oggi ma mentre quello di tangentopoli in qualche misura era un cambiamento della politica che veniva da obblighi esterni, stavolta l’unica reazione è l’anti politica. Molti dei partiti politici sentono il bisogno di cambiare linguaggio, cambiare facce, cambiare parole chiave solo per dire che sono nuovi rispetto a quelli dell’altro ieri. Colpisce perciò che persone che vengono in politica dicendo di voler rappresentare la società civile facciano gli stessi errori comunicazionali e abbiano gli stesi tic di potere comunicativo dei personaggi del passato.

 

Viene in mente anche Beppe Grillo con il suo Tsunami Tour elettorale: non è cattivo gusto usare quella parola, che significa migliaia di morti, per una campagna politica?

 

E’ di cattivo gusto dal punto di vista semantico perché non si può contendere la necessità più o meno condivisibile ma politicamente corretta di ricambiare tutta la classe politica con un fenomeno naturale che ha ucciso persone inermi e innocenti. L’accostamento è incivile e secondo me anche lievemente arrogante come se si sentisse signore degli eventi e direi proprio che la sua personalità è riassumibile bene in questa personalità di signore degli anelli della Rete. Aggiungo che questo personaggio è davvero interessante e in questo purtroppo ha qualcosa da insegnare agli altri politici italiani.

 

Che cosa?

 

Grillo ha fatto una analisi del generalismo televisivo e sostiene che ad andare in televisione ci si delegittima. Devo dire che già sei anni fa il mio gruppo accademico aveva fatto una analisi identica intitolata “Contro la comunicazione politica” in cui partivamo dalla stessa ipotesi di Grillo, che cioè la comunicazione televisiva è uno dei principali danni della politica italiana. Ma una cosa è arrivarci dal punto di vista scientifico e un’altra da quello politico.

 

Quale la differenza?

 

Da politico lui colpisce perché dice che non vuole andare alla tv ma il tour che sta facendo è noto agli italiani principalmente perché la tv ne riprende le immagini e  le parole. Non è la prima volta che succede questo perché era successo anche con Prodi quando andò in tour con il pullman. In realtà il pullman visibile era quello che veniva ripreso dai tg non certo quello che si vedeva per le strade circondato da duemila sostenitori accaniti.

 

Grillo dunque sfrutta la televisione mentre la nega.

 

Colpisce in quello che fa Grillo che si possano attaccare i media generalisti e poi sfruttarli dico intelligentemente nel loro limite culturale. Dice che vuole fare campagna elettorale solo in piazza e allora andrebbe lasciato alla sua scelta, se non è desiderata perché uno dovrebbe partecipare lo stesso con la televisione? Penso che ci vorrebbe un diverso radicalismo da parte dei media lasciandolo solo senza riportarlo loro in televisione, ma i media italiani ancora non hanno imparato come si racconta la politica.