L’impressione è che le elezioni non serviranno tanto a indicare con chiarezza chi sarà, nei prossimi anni, a governare l’Italia quanto, piuttosto, a definire i futuri assetti parlamentari, i rapporti di forza tra i partiti, e lo schema di ripartizione di eventuali poltrone. E’ ormai noto che al Senato, complice una legge elettorale che assegna il premio di maggioranza su base regionale, non vincerà nessuno. Gli unici margini d’azione concessi al centrosinistra, che si accingere a risultare la forza più ampia, consisteranno del decidere se e quanto peso attribuire al proprio alleato nel prossimo esecutivo. Quel che è certo, è che un alleato dovrà esserci. Se sarà il centro montiano o il Pdl dipenderà dai voti effettivi che questi avranno preso. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Paolo Pombeni, docente di Storia dei Sistemi politici nell’Università di Bologna.
Quale sarà lo scenario post-elettorale?
Una coalizione ampia è la più probabile delle ipotesi. Difficile pensare che un’aggregazione compatta sia in grado di vincere sia alla Camera che al Senato. Ma, anche posto che vinca in entrambi i rami del Parlamento, ciò non sarebbe sufficiente per governare il Paese. Non è un caso che Bersani, che secondo le previsioni attuali si appresta a vincere, abbia fatto presente anche laddove guadagnasse il 51% governerebbe come se avesse solo il 49%. Del resto, chi ha un minimo di senso politico, non può pensare di governare in questa situazione con una maggioranza risicata.
Che situazione?
La crisi economica, anzitutto, è tutt’altro che superata. E il nuovo governo dovrà far accettare agli italiani non tanto degli ulteriori sacrifici (che, in genere, si fanno nella prospettiva che il contesto torni alla normalità) quanto il fatto che non si tornerà per molti anni all’elevato tenore di vita precedente alla crisi. In questa situazione, occorre poter contare su un Parlamento dove non si viva tutti i giorni in condizioni d’agguato.
Enrico Letta negli Usa e Stefano Fassina in Gran Bretagna hanno cercato di rassicurare i protagonisti del mondo della finanza circa eventuali derive radicali o antieuropeiste, ieri Bersani ha detto di non credere alla patrimoniale. Qual è il loro scopo?
In linea di massima, l’obiettivo è quello di far intendere che la coalizione sarà tutt’altro che rivoluzionaria ma che, come Bersani ha spesso affermato, potrebbe cercare l’accordo con il centro moderato.
E’ una strada percorribile?
E’ un’ipotesi verosimile ma pur sempre estremamente complicata. Si dovrà capire se Vendola sarà un alleato nelle condizioni di non farsi scaricare. Non dimentichiamo che al suo elettorato ha promesso che non si sarebbe mai alleato con Monti.
Non crede che si poterebbero determinare condizioni tali per cui l’unico governo possibile, accettato anche dai soggetti internazionali, sia quello che comprenda anche la presenza del Pdl? Ovvero, una sorta di riedizione del governo tecnico, ma maggiormente connotato politicamente?
E’ possibile solo nel caso in cui si determini un’ingovernabilità sostanziale. Si tratterebbe di un governo a termine, con l’incarico di portare a compimento una serie di provvedimenti quali la legge elettorale. Non durerebbe più di un anno e mezzo. Resta il fatto che i partiti hanno assunto nei confronti dei propri elettori impegni ben precisi. Alleandosi con gli avversari reciproci pagherebbero un prezzo altissimo.
Quanto conterebbe, in una decisione del genere, il peso dell’Europa?
Ovviamente, chi è in condizioni di debolezza, come gli attuali partiti, deve fare i conti con chi può sostenerlo. Tuttavia, non al punto tale da cancellare la realtà e il fatto che un nuovo governo tecnico, dopo la promessa di ritorno alla normalità democratica, avrebbe quasi il sapore di un golpe.
Che incidenza potrebbe avere in tutto ciò Mario Draghi?
In questo momento, agisce una pluralità di attori, molti dei quali non sono noti, nel tentativo di far uscire l’Italia dalle secche dalla crisi. Tra queste, vi è indubbiamente la Bce. Ma anche soggetti quali Confindustria, i grandi centri dell’opinione pubblica, o la Chiesa. Non credo, quindi ad un deus ex machina che manovri dell’alto gli eventi. E’ più verosimile che più soggetti convergano verso un’unica direzione.
Cosa ne sarà del fronte moderato dopo le elezioni?
Probabilmente, nell’arco di 3 o 4 anni, si determinerà una ridefinizione del centro, attualmente un po’ vago. Molto dipenderà dall’andamento elettorale. Nel caso in cui Monti dovesse prendere molti voti, non è escluso che si riapra per lui la partita della leadership dei moderati. In caso contrario, il Pdl potrebbe, semplicemente, andare incontro a quella “normalizzazione” di cui si parla da tempo.
(Paolo Nessi)