L’immagine che meglio racconta la giornata è stata ufficialmente smentita, ma rimane tanto plausibile da apparire simbolica del momento: Nicola Cosentino che furibondo per l’esclusione se ne va portando con sé i documenti necessari alla presentazione delle liste in Campania. 

In questa immagine l’ex sottosegretario appare come quei ragazzini che sono proprietari del pallone e se lo portano via perché reclamano un rigore che gli amici non vogliono concedergli. In realtà c’è una concezione proprietaria del partito tanto scoperta da apparire inquietante, che però non è bastata, dal momento che dopo tre giorni di braccio di ferro Silvio Berlusconi ha deciso lo strappo, ed ora bisognerà valutarne le conseguenze.



All’ultimo minuto utile le liste Pdl sono state presentate anche in Campania, e Cosentino è fuori. “Dovevo dare un segnale, non potevo fare altro”, avrebbe spiegato ai suoi Berlusconi, reduce da questa estenuante trattativa. Traduzione: senza il sacrificio del ras campano del partito, il no a Marcello Dell’Utri, Claudio Scajola, Marco Milanese, Mario Landolfi  e Alfonso Papa sarebbe stato vano, anzi, del tutto inutile. Troppo alto – secondo i sondaggi – il prezzo da pagare fuori dalla Campania per la presenza fra i candidati di Nick o’americano. Tra due giorni però a Santa Maria Capua Vetere comincia il processo contro di lui, e allora è meglio sacrificare il risultato campano per averne un ritorno nel resto d’Italia, soprattutto nella cruciale Lombardia.



Se si pensa ai reati di cui Cosentino deve rispondere risulta chiaro il perché dell’esclusione: concorso in reimpiego di capitali, falso, corruzione e abuso d’ufficio, con l’aggravante di aver agevolato il clan camorristico dei Casalesi. Ecco allora che le minacce dei fedelissimi di far cadere le giunte a raffica, a cominciare da quella regionale guidata da Stefano Caldoro, risultano meno terribili. 

Dicono i pochi che sono riusciti a parlarci a Palazzo Grazioli che il ragionamento del Cavaliere sia stato pressappoco che passi falsi sulle liste non erano consentiti, dal momento che la gente chiede un cambiamento e lui ci stava mettendo la faccia. Così – avrebbe detto Berlusconi – non potevamo andare avanti, perché in campagna elettorale sarebbe stato un massacro per il Pdl.



Al contrario, così nessuno potrà negare che nel Pdl ci sia stata una svolta vera: dei nomi più chiacchierati sono rimasti solamente Denis Verdini, Luigi Cesaro  e Amedeo Laboccetta. Gli altri fuori. E proprio fra Verdini e Alfano si è consumato lo scontro più cruento nel vertice  del partito. Segretario contro coordinatore, con il primo fautore della linea dura, l’altro invece strenuo difensore della necessità di candidare chiunque potesse garantire una significativa messe di consensi. 

E senza dubbio Nicola Cosentino era fra le migliori macchine da voti su cui Berlusconi potesse contare. Ha vinto Alfano, che ha giocato spregiudicatamente  di sponda con Berlusconi, e questo potrebbe segnare l’inizio della fine per Verdini. Ora il Pdl potrà vantare liste non meno pulite del Pd, che si è liberato all’ultimo di alcuni nomi scomodi, come i siciliani Vladimiro Crisafulli e Nino Papania, oltre al casertano Nicola Caputo, cui in extremis è stata revocata la deroga.

Le liste Pdl, però, hanno sollevato molti mal di pancia, da Nord a Sud, per la presenza di parecchie candidature calate dall’alto nei pochi posti sicuri. Fra essi l’ex direttore del Tg1 Minzolini e il portavoce del partito Capezzone. Ma anche alcuni parlamentari uscenti del gruppo dei Responsabili, come Scilipoti e Razzi, hanno suscitato le ire dei dirigenti territoriali che se li sono visti paracadutati all’ultimo minuto. Tra le sorprese il ritorno di Franco Carraro (ex presidente della Figc e già parlamentare socialista) e la figlia 29enne del magistrato Antonio Scopelliti, assassinato dalla n’drangheta nel 1991.

Resta – sottovalutata dai più – una chiara strategia di arroccamento del Cavaliere: tutti i fedelissimi in lista al Senato, per avere un gruppo compatto e capace a resistere alle sirene di un governo da costruire dopo il voto. Ci saranno Bonaniuti, Gasparri, Matteoli, Verdini, Maria Rosaria Rossi, Anna Maria Bernini e lui stesso. Sarà Palazzo Madama – con ogni probabilità – il palcoscenico della sfida decisiva. E qui Berlusconi non può permettersi di perdere neppure un uomo.