Caro direttore,
se qualche mese fa qualcuno mi avesse chiesto una previsione sul ritorno di Berlusconi sulla scena politica, avrei francamente risposto che lo ritenevo impossibile e che consideravo definitivamente tramontato il suo carisma personale. Troppo spappolato mi appariva il Pdl e il gran numero di candidati che pensavano di partecipare alle primarie promesse dal segretario Alfano davano il senso di una implosione senza rimedio, da cui emergevano soltanto personaggi vanitosi e mediocri assolutamente improbabili.
Debbo riconoscere che mi sono sbagliato clamorosamente. Oggi Berlusconi non solo è in campo, ma dilaga su tutti i mezzi mediatici attaccando alla disperata tutti gli avversari che nella migliore delle ipotesi vengono definiti leaderini. Le forze che si stanno raccogliendo accanto a lui hanno improvvisamente raggiunto percentuali che lo rendono assai più temibile di quanto non sembrasse all’inizio della campagna elettorale. Qualcuno spiega il fenomeno come un effetto delle capacità istrioniche di Berlusconi e della sua bravura nell’intercettare gli umori viscerali degli italiani.
A mio parere le ragioni di questo improvviso exploit sono essenzialmente due: l’aver raccolto tempestivamente il disagio sociale diffuso che il governo Monti ha provocato, con un bisogno che si va sempre più allargando di non trovarselo di nuovo al governo. Credo che il vero sponsor di Berlusconi sia stato involontariamente lo stesso Monti, ricandidandosi a guidare il Paese e facendo di se stesso il simbolo del vero salvatore dell’Italia.
La diretta “salita” alla politica di Monti ha provocato una reazione nel senso comune, che non aveva sopportato le sue misure ma che adesso si sente provocata dalla supponenza del candidato Monti che, mentre tratta i drammatici problemi dell’Ilva come presidente del Consiglio, partecipa poi in prima persona alla campagna elettorale dando voti e pagelle anche a quelli che non l’hanno mai attaccato, come il Pd.
E qui veniamo al secono motivo di questo – almeno allo stato – indiscutibile successo: la debolezza e la quasi insignificanza dell’iniziativa politica del Pd che, pur autocandidandosi come il vero avversario di Berlusconi, continua a riproporre l’accordo con i cosiddetti moderati montiani anche in caso della propria vittoria elettorale.
Eugenio Scalfari, in uno dei suoi commenti domenicali, ha messo in evidenza come i vari punti dell’agenda Monti non siano dissimili dalle proposte del Pd e da più parti si chiede a Bersani di rendere esplicite le discriminanti su cui costruisce la propria differenza. Berlusconi sta vincendo proprio su questo e cioè nel fare intendere agli italiani che la vera alternativa a un governo Monti-Bersani è solo la destra che vuole togliere le tasse, contrastare la politica europea e liberare le forze capitalistiche imbrigliate da ogni forma di interventismo statale. È su questo punto diventato centrale nel corso del passare dei giorni che si vince o si perde. Il problema non è più l’ingovernabilità del Senato, ma un possibile successo elettorale della destra che destabilizzi l’intero quadro politico.
Quello che appare più preoccupante è non tanto l’agenda Monti, che ripropone una sorta di delega della sovranità popolare alle istituzioni europei e ai mercati finanziari, quanto il fatto che il Pd purtroppo non si discosti molto da una linea simile. Cos’è mancato fino ad ora? Quella che una volta si chiamava una proposta di grande politica, capace di mobilitare gli animi verso obiettivi e mete in contrasto con lo squallore del quotidiano e allo stesso tempo di legare a questa visione progetti concreti fin nei dettagli.
Non è un fatto di pura nostalgia del passato: ricordo bene le riunioni con cui Enrico Berlinguer preparava le campagne elettorali. C’erano l’idea di una nuova tappa verso il socialismo, e allo stesso tempo programmi operativi che potessero essere tradotti subito dopo le elezioni in vere e proprie propostre di legge. Berlinguer su questo punto insisteva caparbiamente: arrivare in Parlamento con proposte legislative già definite in modo che gli interessi coinvolti sentano materialmente la loro presenza e siano rappresentati in testi normativi.
Un progetto è infatti la capacità di tenere insieme due cose diverse che se perseguite singolarmente non riescono a parlare a nessuna delle due parti. Ad esempio, ridare un senso alla produzione di acciaio nel nostro Paese che attualmente è invece rappresentata dalla tragedia dell’Ilva. Un’ipotesi di risanamento e rilancio della filiera dell’acciaio che riguarda non solo la Puglia ma tanti stabilimenti italiani richiede misure forti come l’eventuale nazionalizzazione dell’Ilva e l’istituzione di una sede di governo democratico per il coordinamento dell’intero comparto siderurgico. Un progetto di intervento sul sistema bancario che impedisca la confusione tra investimenti produttivi e speculazioni finanziarie e finisca di dare soldi alle banche indebitate, come il Monte dei Paschi, negandoli alle tante medie e piccole imprese che rischiano di fallire giorno dopo giorno. L’istituzione di una grande banca pubblica che svolga un ruolo di promozione dell’attività imprenditoriale come accade in Germania e in altri Paesi. Una riqualificazione del settore sanitario nazionale che attualmente è troppo disomogeneo e disperso in località non facilmente raggiungibili. Una vera e propria riforma educativa e culturale che cancelli i danni enormi che sono stati fatti dalla Gelmini e che stanno soltanto producendo caos nelle università e concorsi affollati dove si consumano le speranze dei possibili insegnanti disoccupati. Un progetto per ricostituire un clima di legalità condiviso a partire da quella riforma della giustizia che ridisegni i confini fra i vari poteri, la cui confusione permanente è accresciuta dalle candidature clamorose di magistrati che sembrano oramai confondere giustizia e politica. E via dicendo.
Il segreto di una nuova politica è quello di sapere intrecciare il carattere emblematico e generale della proposta con la sua articolazione progettuale concreta e pronta a diventare operativa. Non servono grandi dissertazioni. Ci vuole invece la capacità di produrre un mix comunicativo dove utopia e concretezza diano allo stesso tempo la dimensione del presente e una prospettiva per il futuro.
La strada imboccata da questa fase elettorale è proprio all’opposto di quanto ho cercato di argomentare. La scena politica è oramai tutta assorbita dal sistema mediatico e l’inseguimento del giornalismo italiano soltanto delle notizie che fanno scoop impedisce una vera discussione pubblica democratica che dovrebbe restituire ai cittadini la vera libertà di voto che si basa soprattutto sulla verità dei fatti e sull’attendibilità delle informazioni.
Non può non impressionare la contraddizione tra la drammaticità della crisi che colpisce la vita di ciascuno, e la pochezza delle argomentazioni che viene adoperata per richiamare l’attenzione di quanti sono disperatamente in attesa di una vera e propria svolta nella vita del Paese. Che ancora non si vede.