Scusate se sarò un po’ aggressivo, ma forse è l’unico modo per discutere davvero senza ipocrisie. La nota di Cl che ho letto è assai interessante, e contiene affermazioni serie e profonde di don Giussani. Però secondo me, mentre pone – senza dirlo esplicitamente – il tema della rifondazione, o almeno della ristrutturazione di Cl, e dunque della sua “ridefinizione”, questa nota sfugge a due questioni fondamentali, una di ordine storico e una di ordine teorico. Proverò ad accennarle.
La prima consiste in una domanda (o forse in una serie di domande): si può ignorare il fatto che negli ultimi vent’anni la stragrande maggioranza degli aderenti a Cl che si è impegnata in politica lo ha fatto nello schieramento di Berlusconi? Non è una domanda provocatoria, né sottintende nessun giudizio di condanna. Semplicemente non mi pare possibile sfuggire a questo interrogativo. Non può essere stato un fatto semplicemente casuale, e neppure una insignificante “scelta tattica”. La presenza fortissima, specie a Milano, di aderenti a Cl nelle fila del partito berlusconiano pone questioni complicate. Per esempio queste: 1) esiste una coincidenza di aspirazioni politiche, o è esistita, tra “ciellismo” e berlusconismo? 2) questa coincidenza, se c’è, nasce dall’insegnamento di Cristo, o comunque è giustificata dall’insegnamento di Cristo? 3) se invece questa coincidenza non c’è, cos’è che ha determinato per tanto tempo una alleanza politica fortissima senza che mai fosse messa in discussione? 4) La crisi del berlusconismo, e la crisi dell’alleanza tra berlusconismo e aderenti di Cl, può essere liquidata senza una discussione approfondita, o è sufficiente dimostrare come in origine Cl non fosse berlusconiana per liquidare quella alleanza come se non fosse mai esistita? 5) In ogni caso per riprendere un cammino di Cl che ridisegni i suoi rapporti con la politica, non è necessario esprimere un giudizio sul cammino compiuto in questi vent’anni dalla destra italiana e sul ruolo che dentro questo cammino hanno avuto in genere i cattolici e in particolare i cattolici che aderiscono a Cl?
Mi piacerebbe se si potesse cercare di trovare delle risposte a queste domande. Perché penso che potrebbero aiutare moltissimo a compiere due operazioni: la riapertura di un dibattito sui rapporti tra politica e cristianesimo e l’apertura di una discussione vera e serena sul ruolo che può avere la destra in un’Italia moderna.
Alle volte io penso che nel secondo decennio del 2000 non sia possibile riprendere una discussione su cattolicesimo e politica se non si riapre il “dossier-Concilio”. La svolta ideale che il Concilio Vaticano II impresse alla comunità cristiana tra la metà e la fine degli anni 70 fu sbagliata o giusta? È ancora attuale o no? È vero che con il papato di Wojtyla fu almeno in parte cancellata o messa tra parentesi?
Pongo questo problema dal mio punto di vista – di ateo, di uomo di sinistra, di ex cattolico che ha subito fortissimamente l’influenza ideale del Concilio Vaticano II – ma anche da un punto di vista più oggettivo: il Concilio aveva disegnato una ipotesi di rapporto tra cristiani e politica; l’esperienza di Cl, sia nella sua prima fase (anni settanta fino al ’94) sia nella fase berlusconiana ha proposto una ipotesi (concreta) diversa. Non è il momento di abbandonare ogni diplomazia e ripensare a queste due ipotesi, e confrontarle, e analizzarle, e criticarle? Scusate se invece di offrire delle risposte e dei giudizi sul documento di Cl vi rovescio addosso decine di domande. Mi paiono inevitabili.
La seconda questione che pongo è di ordine teorico ed è abbastanza legata alla prima. Io mi chiedo se una forte sproporzione tra temi sociali e temi morali (come li chiama nel suo intervento Giorgio Israel) sproporzione a favore dei secondi, non abbia “mutilato” la forza del messaggio politico cristiano. La prevalenza della prescrizione sulla speranza (e della Fede sulla Carità) a mio giudizio rende limitato il messaggio cristiano e limitata la platea che può ascoltarlo ed esserne interessata. Personalmente non sono affatto convinto del fatto che i primi siano valori negoziabili e i secondi non lo siano. Personalmente, è ovvio, ritengo addirittura che sia il contrario, e cioè che i temi morali siano negoziabili e quelli sociali no, però mi rendo conto che la mia posizione, detta così, è un po’ fondamentalista.
Non è fondamentalista anche la posizione opposta, quella che mette i temi morali al di sopra di tutto? Penso di sì. Sono convinto che una ripresa della cristianità in politica sia possibile solo se si opera un riequilibrio tra moralità e sociale. Ma su questo punto ho paura che don Giussani non sarebbe stato d’accordo.