Pur senza candidarsi, Monti è sceso in campo a tutti gli effetti. E pare che nella campagna elettorale ci si stia trovando pure a suo agio. Benché i toni non siano paragonabili a quelli cui abbiamo assistito in questi anni, non sta risparmiato stoccate ai suoi avversari. Oggi è stato la volta di Bersani, invitato dal premier a tagliare gli estremismi del suo partito, cominciando dall’area che fa riferimento a Fassina e alla Cgil. Una strategia volta, in realtà, a unire, più che a sconfiggere. «Se ripensiamo al cammino della grande coalizione, il disegno consisteva nel tentativo di mettere insieme le ali riformiste per tagliare le estreme», spiega a IlSussidiario.net Fabrizio D’Esposito, firma politica de Il Fatto Quotidiano. «D’altro canto – continua – l’offerta politica del centrodestra si è differenziata: Berlusconi deve sopravvivere ai suoi guai mentre Monti si è incaricato di mettere una bandiera al centro che, per tanti anni, è stata coperta da Casini secondo un istinto di autoconservazione: il professore della Bocconi, quindi, sta cercando di realizzare un’operazione propedeutica al dopo elezioni. Se, infatti, il Pd non conquisterà, oltre che la Camera, anche il Senato, l’alleanza con i centristi sarà obbligata». A quel punto, Monti dovrà chiedere a Bersani «di lasciare a piedi Vendola e giustizialisti».



Berlusconi teme tutto questo. Da tempo sa bene che non ha pressoché alcuna chance di tornare a fare il premier. Il suo scopo, infatti, è quello di entrare in Parlamento con una nutrita schiera di deputati e senatori che possano presidiare i suoi interessi. Allo stato attuale, tuttavia, la pattuglia potrebbe risultare tutt’altro che nutrita. E il suo ruolo ininfluente. Per questo, l’alleanza con la Lega è quanto mai indispensabile. Ma la Lega non vuole che si candidi neppure a Palazzo Chigi. Resta da capire se, in nome dell’antica alleanza, farà realmente un passo indietro. «Già un mese fa – spiega D’Esposito -, quando era chiaro che Maroni non avrebbe digerito la candidatura di Berlusconi, negli ambienti del Pdl si ipotizzava una finta elettorale, con Alfano finto candidato premier e Berlusconi capo della coalizione, sapendo benissimo che il dominus sarebbe sempre stato lui».



Anche Alfano è stato scartato, e circola il nome di Giulio Tremonti. «Penso che, più che altro, si tratti di un’autocandidatura. Tremonti, infatti, viene indicato da gran parte del partito come il principale colpevole del fallimento della rivoluzione liberale. Lo stesso Berlusconi, in più di un’occasione, lo ha definito il sabotatore interno della sua azione di governo. Certo, il berlusconismo ha rappresentato tutto e il contrario di tutto e, in campo leghista, Tremonti è l’unico personaggio spendibile con autorevolezza; dubito, tuttavia, che concretamente, si arriverà ad un’opzione del genere». 



 

(Paolo Nessi)