Comunque vada, la gestione, Maroni potrebbe rivelarsi una breve parentesi dell’era leghista post-Bossi. Se conquista la Lombardia, ipotesi possibile ma non di certo altamente probabile, lascia la segreteria del Carroccio. Se perde, pure: «mi farò da parte perché ritengo che un leader che si candida non può riciclarsi se viene sconfitto». Si tratta di semplici frasi di circostanza? E chi lo obbligherebbe, in caso di sconfitta, a dimettersi effettivamente? Lo abbiamo chiesto a Francesco Jori, giornalista esperto di questioni leghiste.



Crede che Maroni terrà fede alle promesse?

Se vince, è ovvio che non può fare altro che dimettersi, per fare il presidente della Regione a tempo pieno. Se, invece, perde, è obbligato dal fatto che la sconfitta alle elezioni rappresenterebbe una clamorosa sconfessione della sua scelta di barattare l’alleanza con Berlusconi per la presidenza. Si tratterebbe di una questione di incompatibilità politica.



Eppure, in Italia, specialmente nei partiti e specialmente in quelli a forte caratura carismatica e personalistica, non si dimette mai nessuno.

E’ vero. Tuttavia, nel caso della Lega, abbiamo visto quando la decisione sia stata fortemente contestata, anche attraverso le proteste giunte nelle varie sezioni o il quotidiano di partito, la Padania; si produrrebbe, quindi, una tale ribellione dalla quale Maroni, se si ostinasse a voler guidare la Lega, non potrebbe che essere travolto.

Se l’opposizione all’alleanza era così alta, Maroni ha forse deciso di arrivare fino in fondo per le sue ambizioni personali?



Non solo. La sua è stata una strategia politica ben precisa. Non dimentichiamo che se la Lega effettivamente conquistasse la Lombardia, si troverebbe a governare le tre principali Regioni del nord. Avrebbe, di fatto, realizzato il sogno della macroregione. Inoltre, correndo da sola alle Politiche, avrebbe rischiato di non superare la soglia di sbarramento (dimezzata nel caso in cui si faccia parte di una coalizione), sparendo dal Parlamento.

Se le cose stanno così, perché la base non ha digerito le ragioni dell’accordo?

L’opposizione di buona parte della base nei confronti di Berlusconi è viscerale. Non è un caso che Tosi, di recente, abbia fatto sapere che, dopo le elezioni, non è esclusa la separazione dal Pdl.

Tosi rappresenta la base leghista?

Sicuramente, ne rappresenta una parte consistente. Lo dimostra, del resto, l consenso che ha sempre ottenuto. Con il record di preferenze in Regione e con due elezioni di fila a sindaco. Sicuramente, inoltre, i maldipancia nei confronti di Berlusconi sono decisamente superiori nel Veneto che altrove.

Nei futuri assetti del partito quanto potrebbe contare il Veneto?

Come già accaduto in passato, pretenderà di avere maggior peso all’interno del partito, rivendicando di esserne, tutto sommato, l’azionista di maggioranza. Non credo, tuttavia, che si arriverà mai ad uno scontro finale. La Lega Veneta, per il momento, non ha intenzione di lasciare quella lombarda.

Tosi potrebbe cercare di prendere la guida del partito?

Tosi è legato a Maroni a doppio filo. C’è un’assoluta sintonia rispetto alla visione politica, e un forte rapporto personale. Laddove prendesse in mano la segreteria, si tratterebbe di una scelta concordata.

Come mai Tosi ha avanzato l’ipotesi di separarsi dal Pdl, in contrasto con la linea del partito?

Si tratta di affermazioni impensabili per la vecchia Lega, dove qualsiasi voce minimamente in dissenso dalla posizione di Bossi veniva attaccata selvaggiamente. Nella nuova Lega, le parole di Tosi assomigliano semplicemente a quello che avviene in qualunque altro normale partito.

Perché non è stato lui il candidato premier della Lega? Si è trattato di una ritorsione nei suoi confronti per le precedenti prese di posizione eterodosse?

No, anche perché si sarebbe trattato di una mera candidatura di bandiera. Come, del resto, lo è quella di Tremonti.

 

(Paolo Nessi)