Vincere in casa e pareggiare in trasferta per sperare di avere ancora un ruolo da recitare, anche nella prossima legislatura. Questa la speranza che ha spinto Silvio Berlusconi ad accettare quel passo indietro che i leghisti gli hanno imposto in cambio dell’alleanza nazionale.
A prima vista viene da chiedersi chi glielo ha fatto fare. Roberto Maroni sembra il grande trionfatore di questa trattativa. Porta a casa concrete chances di vittoria in Lombardia che correndo in solitaria non avrebbe avuto. Per lui la prospettiva è di tipo bavarese, perché per almeno due anni (sino alle regionali del 2015) potrà – in caso di vittoria – trattare con Roma da una posizione di forza, spalleggiato da Roberto Cota e Luca Zaia. Chi dovesse vincere a livello nazionale a questo punto poco importa, perché il rapporto sarà inevitabilmente dialettico, persino per un governo amico.
Certo Maroni dovrà fronteggiare tantissimi mal di pancia interni, ma lui non ha paura delle critiche. La sua è realpolitik, a diventare marginale per un pugno di voti in più proprio non ci sta. Lo dirà chiaro ai suoi oppositori interni, a chi – come l’ex capogruppo Reguzzoni – su facebook lo accusa di incoerenza. Chi non ci sta, è pregato di accomodarsi all’uscita. Lui degli elmi celtici con le corna non sa che farsene, ed è per questo pronto a sporcarsi le mani con una rinnovata alleanza con il PDL.
Berlusconi sembra guadagnarci molto meno, perché se dovesse riuscire nel colpo gobbo di vincere in Lombardia, Veneto e Sicilia, consegnando il Senato all’ingovernabilità, farebbe solo un favore a Monti, almeno a sentire gli osservatori più attenti. Il colpaccio potrebbe riuscirgli, i sondaggi lo indicano come possibile, perché parlano di un testa a testa Maroni/Ambrosoli in Lombardia e di una vittoria plausibile in Sicilia, dopo il ritrovato abbraccio con Grande Sud di Gianfranco Miccichè. Certo il prezzo da pagare è stato elevatissimo, e soprattutto la consegna della Lombardia alla Lega risulta estremamente indigesta all’ala cattolica del PDL raccolta intorno a Roberto Formigoni, che sembra intenzionato a non appiattirsi su Gabriele Albertini, paradossalmente danneggiato dall’endorsement di Monti a suo favore.
Vale la pena, allora, fare tutta questa fatica esclusivamente per precludere a Bersani Palazzo Chigi, e favorire la permanenza di Monti? Anzitutto, Berlusconi non aveva alternative. Spinto dalla discesa in campo del premier sempre più a destra, non poteva certo pensare di riagganciare i centristi in nome del Partito Popolare Europeo. Questa prospettiva si è definitivamente chiusa con la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio.
Ecco allora l’azzardo: riagganciare la Lega, forte di sondaggi che indicano un forte recupero del PDL grazie alla sua offensiva mediatica natalizia. Rimontare dieci e più punti a Bersani non è certo pensabile, anche perché Berlusconi non è più né quello del 1994, ma neppure quello del 2006. Eppure chi gli è vicino sussurra che il Cavaliere sia certo di rendere alla sinistra ancora una volta la vita difficile. Poi, dopo il voto, tutto può accadere, persino di trovare sponde inattese.



Se il centrodestra vincesse in Lombardia, Sicilia e Veneto, il centrosinistra arriverebbe al massimo a 149 seggi, quando la maggioranza assoluta è di 158. Qui entra in gioco Giorgio Napolitano: Leggendo con attenzione le sue parole Berlusconi si è di fatto persuaso che – in assenza di una maggioranza certa in entrambe le Camere – il Capo dello Stato non solo non darebbe l’incarico a Bersani, ma non lo darebbe neppure a Monti, colpevole ai suoi occhi di aver voluto scendere in campo contro il suo parere. Del resto entrambi uscirebbero sconfitti di fatto dalla contesa elettorale e non sarebbero più spendibili per la guida del governo.
A quel punto, chiunque fosse il prescelto dal Colle per guidare una nuova fase di transizione, pensare a una riedizione del governo ABC, una nuova “grosse koalition” all’amatriciana, non è follia. La strategia di sopravvivenza messa a punto da Berlusconi avrebbe colto nel segno. Anche il PDL potrebbe sedere al tavolo di quella trattativa e allora Berlusconi potrebbe concludere di aver fatto un buon investimento consentendo alla Lega di tentare la scalata al trentanovesimo piano di Palazzo Lombardia.

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