Si chiama “listino” lo strumento che Bersani si è trovato tra le mani per tenere in pugno il partito: un centinaio di persone che, in virtù della loro collocazione in caselle certe, entreranno di sicuro; non dimentichiamo che, pochi giorni fa, il Pd ha celebrato con grande clamore le primarie dei parlamentari. Non essendo cambiata la legge elettorale, e non essendo stato reintrodotto un criterio di selezione popolare dei candidati, il partito ha provveduto per conto suo. Come si concilia questo trasporto democratico con l’elevato potere di nomina dall’alto che è stato attribuito al segretario? Lo abbiamo chiesto al direttore de Gli Altri, Piero Sansonetti.



Con il listino, il valore delle primarie viene alterato?

Tutto sommato, non direi. Nel listino ci saranno un centinaio di parlamentari. Ma, ad occhio, il Pd ne prenderà almeno circa 300. Vuol dire che i due terzi saranno stati eletti dai cittadini. Il che determinerà in Parlamento una situazione curiosissima.

Quale?



Ci sarà una quota di parlamentari che sarà stata direttamente eletta dai cittadini, mentre tutti gli altri saranno stati nominati dai partiti. Di fatto, è una situazione che non capitava dai tempi del re, dove il Senato era di nomina regia, mentre la Camera elettiva.

Questo, di fatto, cosa cambia?

Cambia moltissimo sul fronte della solidità della futura maggioranza di governo; se, al suo interno, ci sarà chi risponde al popolo e chi al partito, la sua tenuta sarà sovente messa in discussione. I primi, oltretutto, avranno un grado di libertà infinitamente superiore rispetto ai secondi. La stessa questione, ovviamente, si porrà all’interno del Pd. Ci sarà un terzo di parlamentari particolarmente fedeli al segretario e i due terzi che si sentiranno decisamente più svincolati.



Questi ultimi potrebbero temere che, nella prossima legislatura, il partito non indirà nuove  primarie né li candiderà.

Beh, nel frattempo, la legge elettorale andrà per forza cambiata. Non si potrà andare avanti per altri cinque anni senza aver reintrodotto un criterio di scelta popolare.  

Tornando al listino, con che ratio l’ha compilato Bersani?

Ha seguito tre criteri: quello, anzitutto, di far entrare in Parlamento un certo numero di persone il più possibile fedeli a lui; inoltre, ha perseguito l’obiettivo di dare al partito un minimo di lustro. Anche se, in realtà, non è andato molto lontano.

Cosa intende?

Beh, al di là del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e della rettrice della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Maria Chiara Carrozza, non è che abbia imbarcato personalità di così elevato spessore. Insomma, nulla di paragonabile con il Pd di un tempo. Che, se ben ricordiamo, tra i suoi indipendenti aveva arruolato alcuni tra i più grandi intellettuali italiani dell’epoca, quali Renato Guttuso, Luigi Spaventa, Altiero Spinelli, Stefano Rodotà e Ferruccio Parri, solo per citarne alcuni.   

E il terzo criterio?

E’ il Cencelli; Bersani ha dovuto ridistribuire alcune poltrone tenendo conto delle varie correnti e nel tentativo di riequilibrare gli assetti in seguito alle primarie, dove i candidati di centro sono andati malissimo.

Cosa c’entrano con il Pd, invece, due persone come il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti e Giampaolo Galli, già direttore generale di Confindustria?

Beh si tratta di due persone con forti entrature tra i poteri che contano e averli in lista, oltre che far sempre comodo, consentirà di arginare i voti che andranno ai montiani.  

In conclusione, che Pd si sta delineando?

Non vedo particolari sconvolgimenti. Il Pd che entrerà nel prossimo Parlamento sarà piuttosto centrista;  e farà una politica non troppo dissimile da quella di Monti. Tanto più che resto convinto del fatto che sia che riesca a conquistare la Camera ma non il Senato, sia che riesca a guadagnare entrambe le Camere, si alleerà con Monti. Ovviamente, in campagna elettorale non mancheranno colpi bassi. Ma alla fine si accorderanno. E, una volta al governo, il partito di Bersani dovrà scontare il paradosso di avere una quota rilevantissima di elettorato di sinistra, ma di aver scelto una politica che guarda al centro e a destra. 

 

(Paolo Nessi)