Le analisi ormai si sprecano, la messa a punto delle strategie elettorali sembra tracciata. Ma a quaranta giorni dall’apertura delle urne, in quanto a previsioni sulla possibilità di una reale maggioranza nel futuro Parlamento italiano, siamo ancora nel “regno dell’incertezza” o se vogliamo rifarci a immagini cinematografiche nel “porto delle nebbie”. E’ vero che una campagna elettorale è sempre convulsa e spesso imprevedibile, nel suo sviluppo settimana dopo settimana, ma questa tornata elettorale italiana sembra irripetibile, perché si è tentati di definirla epocale, sia nella svolta che può definire nuovi equilibri di forza, sia per l’impasse pericoloso che può creare nel Parlamento e nel Paese.
Nell’arco dell’ultimo week-end di vacanze di Natale, molti leader hanno cominciato a muoversi dando il via alla campagna elettorale. Mario Monti ha quasi fatto il suo esordio come leader politico a tutto campo domenica a SkyTg24, Il giorno dopo, il ministro più influente del “governo dei tecnici”, Corrado Passera ha rilasciato una lunga intervista a “Il Corriere della Sera” in cui spiega la ragione per cui non ha condiviso la scelta delle liste sponsorizzate da professore e non ha accettato di candidarsi in quella che comunque viene definita una “lista Monti”. Infine è maturato, faticosamente e con qualche contraddizione (chi farà il premier?) l’accordo tra Lega Nord e Pdl. Per concludere c’è stato un quasi augurio di Nichi Vendola, leader della Sel, a far piangere i ricchi, come se volesse ribadire la sua appartenenza di sinistra alternativa. Se si vuole aggiungere un altro fatto che potrebbe sembrare marginale, ma non lo è, si potrebbe parlare anche delle critiche di Eugenio Scalfari a Monti nel fondo domenicale di “la Repubblica”.
E’ vero che in campagna elettorale, ormai aperta, parole e comportamenti possono avere un peso relativo, ma dato il momento che l’Italia sta passando, qualsiasi elettore cerca chiarezza per il futuro, non un gioco di strani “vasi comunicanti” o addirittura di specchi che portano solo a confusione. La necessità che si esca con un governo di maggioranza autonoma, o di una convincente coalizione è l’aspettativa principale rispetto alla situazione economica da affrontare, alla “questione sociale” come l’ha definita il Presidente della Repubblica nel suo messaggio di fine d’anno. I sondaggi ci spiegano che la maggioranza di centrosinistra alla Camera esiste, ma al Senato non si sbilanciano, anzi tendono a vederla molto problematica. E allora? Stefano Folli, ex direttore del Corriere della Sera, autorevole editorialista de Il Sole24Ore, uno dei più letti commentatori italiani, non nasconde l’incertezza del momento. 



Come giudica l’intervista di Passera al Corriere della Sera?
L’opinione che mi sono fatto e che la rottura si sia consumata sul ruolo che Corrado Passera voleva avere. E’ solamente un’opinione. Forse chiedeva uno spazio più importante. Difficile giudicare. Ci si può vedere anche un altro significato: quello di tenersi come “carta di riserva”, in caso che i voti al centro non arrivassero alla quota desiderata, alla soglia che dovrebbe permettere a Mario Monti di avere un ruolo decisivo nel programma del nuovo Governo. Sono solamente delle valutazioni viste dall’esterno.



Quale sarebbe la soglia, la percentuale di votanti che garantirebbe a Monti un ruolo nuovamente decisivo, a suo parere?
Il professore ha bisogno di un supporto popolare, non c’è dubbio. Quello che al momento gli assegnano i sondaggi è ancora difficilmente decifrabile, la cosiddetta “forchetta” è ancora troppo ampia. Si può pensare che se Monti ottenesse un risultato inferiore al 15%, il suo ruolo si indebolirebbe. Ma questo dipende anche dalla variante del risultato al Senato. Se al Senato non scatta la maggioranza, anche quel 14% potrebbe diventare decisivo e importante.

Ci sono intanto manovre e mosse a destra e a sinistra.
C’è l’accordo della Lega con Berlusconi, anche se sinora sono usciti due candidati alla premiership. Indubbiamente il Cavaliere ha avuto la forza di ricompattare una parte del suo vecchio elettorato. Credo che stia guardando soprattutto all’area dell’astensionismo, dove non c’è solo chi era disilluso, ma anche chi in qualche modo si sentiva “orfano”. E’ vero che Berlusconi e il Pdl sono oggi valutabili intorno al 19%, cioè la metà di quello che a un certo punto è stato il suo elettorato. Ma in un panorama di incertezza e di frammentazione una simile quota può diventare una carta importante nel futuro degli equilibri politici. E non bisogna dimenticare dove il Cavaliere prende i voti. Se si assicurasse la Lombardia, varrebbe la penna di parafrasare il vecchio Cuccia: i voti pesano, non si contano.



E a sinistra c’è Nichi Vendola che sta alzando i toni della campagna elettorale.

La spiegazione potrebbe essere legata al momento elettorale. Vendola alza i toni per catturare voti a sinistra e poi ritorna ragionevole, in caso si debba fare un’alleanza con il centro di Monti. In fondo ha fatto in questo modo anche nelle regionali pugliesi, dove oggi è il Governatore. Ma in questo caso la situazione è più delicata. In questo modo Vendola sta procurando fastidi a Pier Luigi Bersani, con dichiarazioni che possono essere oggetto di polemica elettorale. Poi c’è un altro ragionamento da fare. 

Quale? 
A me pare che, guardando al nuovo Parlamento, noi ci illudiamo di aver già metabolizzato Beppe Grillo e il suo movimento, che, comunque sia in regresso, il 12% o 13% lo piglierà. Aggiungiamo a questa considerazione un altro fatto, che può essere un interrogativo: se la lista di Antonio Ingroia raggiunge il quorum? A quel punto nel prossimo Parlamento potremmo avere un’area radicale alternativa valutabile intorno al 20%. Se si verificasse una simile situazione, perché Vendola non potrebbe dire quanto segue: vogliamo fare una maggioranza? Perché scegliere Monti e non invece Ingroia e l’appoggio degli stessi “grillini”? Qui a forza di coperture a sinistra, con il gioco dei “vasi comunicanti” si va incontro anche a un rischio.

 

(Gianluigi Da Rold)