Si è pensato che, finché si trova in campagna elettorale, darà sempre la risposta più conveniente a seconda dell’interlocutore; o che – è l’ipotesi più estrema – essendo il centro ormai presidiato da altri, stia cercando di racimolare voti in quell’elettorato a cui dei cosiddetti valori non derogabili non può importagliene di meno. Sono queste le due chiavi di lettura attraverso cui sono state interprete la parole di Berlusconi che, ospite di Radio Rtl 102.5, sembra essersi espresso in favore della legittimazione dei matrimoni gay. A chi gli chiedeva se fosse favorevole al riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, aveva risposto spiegando che sarà necessario modificare il codice civile. Maurizio Sacconi, senatore del Pdl già ministro del Welfare, ci spiega quali sia reale pensiero dell’ex premier.
Come valuta le parole di Berlusconi?
Sono perfettamente coerenti con il documento sottoscritto da 173 parlamentari del Pdl in cui è stata sancita in maniera inequivocabile la distinzione tra la regolazione civilistica (finalizzata alla regolamentazione di un contratto tra le parti), intesa a disciplinare le relazioni affettive di qualunque natura, anche omosessuale, e la dimensione pubblicistica (volta a tutelare gli interessi della collettività), nonché l’unicità e l’esclusività del matrimonio naturale; anche in considerazione delle ingenti risorse (basti pensare che spendiamo 63 miliardi a favore dei coniugi) allocate in favore del sostegno di quell’unica unione naturale tra un uomo e una donna vocata alla procreazione e alla continuazione della società.
L’ipotesi del riconoscimento dei matrimoni gay sarebbe quindi scongiurata?
L’equiparazione è proprio ciò che non vogliamo. Essa estenderebbe l’istituto matrimoniale alle coppie non eterosessuali. Non fa parte delle nostre proposte e, benché rispettiamo tutte le relazioni affettive, e ci siamo impegnati affinché trovino nella disciplina civilistica gli strumenti più idonei, il nostro primo obiettivo consiste nel riaffermare l’unicità del matrimonio tra uomo e donna.
Non crede che il rischio, in ogni caso, possa consistere nel determinare un precedente in grado di spalancare le porte, in futuro, alle nozze gay?
Il rischio è scongiurato dall’aver preservato la suddetta distinzione tra dimensione civilistica e pubblicistica, sottolineando come i due piani restino profondamente diversi nella regolazione e nei valori che informano la nostra repubblica e che, sostanzialmente, sono quelli della nostra tradizione.
Questa è la posizione in assoluto dominante nel Pdl?
Direi di sì. È largamente maggioritaria e buona parte dei parlamentari che non hanno sottoscritto il documento semplicemente non ha ancora avuto modo di farlo.
Inserirete tale posizione anche nel programma?
Credo che vi inseriremo i valori della nostra tradizione, così come li abbiamo inseriti, in precedenza, nei documenti costitutivi del nostro partito e in quelli in cui facciamo riferimento alla nostro collocazione nell’ambito del Partito popolare europeo. In sostanza, i principi della nostra tradizione sono alla base del nostro programma. Analogamente, riteniamo nostro compito accogliere la nostra azione di governo con un’adeguata informazione per spiegare, ad esempio, la differenza tra accanimento terapeutico, che va evitato, e tutela della vita in condizioni di fragilità.
Come mai la stragrande maggioranza degli osservatori si è affrettata a interpretare le dichiarazioni di Berlusconi come un appoggio alle unioni omosessuali?
Si è trattata di una strumentalizzazione. Nel dibattito, abbiamo fatto chiarezza circa la nostra posizione sui temi etici e alcuni hanno cercato di individuare una contraddizione che, in realtà, non c’è stata così come, al di là di quanto affermato sulla carta, non ci sono mai state, sul piano etico, nella nostra concreta azione di governo.
(Paolo Nessi)