Una volta preso atto che la coerenza a oltranza non paga, i leghisti hanno ceduto. E hanno accetto l’alleanza con il Pdl in nome di un compromesso al ribasso. Fatte salve le apparenze, sosterranno che hanno strappato a Berlusconi la promessa di non candidarsi a premier. Ma, considerando che sarà il leader della coalizione e che comunque sapeva benissimo che non sarebbe più rientrato a Palazzo Chigi, non è un gran sacrificio. Il prezzo più alto da pagare, in ogni caso, è stata la cessione della candidatura al Pirellone, forse il più grande risultato che la Lega abbia mai raggiunto. Senza contare che, se effettivamente dovesse conquistare la Regione, avrebbe raggiunto il principale dei suoi obiettivi: governare le tre principali Regioni del nord, dando vita ad una sostanziale macroregione del nord. Che, nelle aspettative del Carroccio, sarebbe sufficiente per imporre a Roma di lasciare il 75% delle imposte al territorio che le produce. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Fabrizio Rondolino, giornalista e scrittore.
Cos’ha convinto la Lega a fare l’accordo?
Prevalentemente, Maroni ha badato al suo tornaconto personale e alle sue ambizioni. D’altro canto, nel momento in cui si candida a governatore, è costretto a vincere. Ed è comprensibile che sia disposto a fare il patto con il diavolo per portare a casa il risultato.
Del Parlamento, quanto gliene può effettivamente importare?
Stare o non stare in Parlamento, per la Lega, fa ben poca differenza. Tanto più che la coalizione di centrodestra è destinata all’opposizione.
Non è che La Lega lo ha sempre saputo che, alla fine, si sarebbe fatto l’accordo ma, in questi mesi, ha cercato di convincere i suoi elettori del contrario?
Non saprei. Personalmente, ero convito che nella famosa “ramazza” fosse compreso anche Berlusconi.
La base capirà?
Dipenderà dalla campagna elettorale. Per il momento, i dissidenti mi sembrano parecchio numerosi. Non escludo che se Berlusconi riuscirà a polarizzare la sfida, indicando nell’avversario ancora una volta il nemico da abbattere, alla fine anche gli elettori leghisti più perplessi potrebbero tornare sulle proprie idee.
Non crede che l’accordo raggiunto salvi, per lo meno, le apparenze?
Il Pdl potrebbe essersi impegnato pure a costruire una base spaziale a Malpensa, ma sappiamo tutti che non è fattibile. Così come la condizione relativa al 75% delle imposte; ha qualche chance di essere attuata solamente nel caso in cui il centrodestra vinca le elezioni a livello nazionale. Ma a livello nazionale perderà.
Possibile che la coalizione ancora non abbia un candidato premier?
Notevole. Anche perché si tratta di un curioso paradosso della storia. Ricorderà che fu Berlusconi a compiere la forzatura costituzionale dell’introduzione del nome del candidato premier sul simbolo del partito.
Gli elettori come la prenderanno?
Sanno benissimo che il centrodestra non andrà mai a Palazzo Chigi e che il capo continua a essere comunque, in ogni caso, Berlusconi.
E Tremonti?
Ha le stesse probabilità di diventare capo del centrodestra di Bersani.
Come giudica, invece, il fatto che nel meridione il Pdl sia alleato con un partito dichiaratamente contro la Lega?
Il Grande Sud, a differenza della Lega che ha una sua storia, una sua struttura, e una base, rappresenta un’operazione di potere costituta da pezzi di Pdl e pezzi di Udc per preservare le poltrone e aumentare le possibilità di rendere il Senato ingovernabile.
Quante chance ha il centrodestra di renderlo tale?
Moltissime. Dovrebbe vincere senza troppe difficoltà in Lombardia, Veneto e Sicilia.
A questo punto, il centro deve effettivamente sperare che l’asse Pdl-Lega mettano in difficoltà Bersani
Tutto quello che, dal punto di vista del centro, mette in difficoltà il centrosinistra nel governare da solo è il benvenuto.
(Paolo Nessi)