Il recente comunicato stampa di Comunione e liberazione (Nota di Comunione e Liberazione sulla situazione politica e in vista delle prossime scadenze elettorali) rischia di essere rapidamente liquidato come una sostanziale marcia indietro, un ritiro di credenziali da parte di un’autorità centrale verso i propri rappresentanti, un chiamarsi fuori dal gioco nel momento in cui questo sembra diventare sempre più incandescente. Una lettura così riduttiva sembra rivelarsi tanto più plausibile quanto più si equipara il movimento ecclesiale di Cl ad una forza politica, attribuendogli così le stesse logiche e le stesse strategie (e quindi gli stessi apparati, le stesse regole di inclusione/esclusione, gli stessi obiettivi) che caratterizzano quest’ultima. Opporsi ad un tale tipo di riduzione appare, non di rado, una battaglia inutile: la politica costruisce un codice che non riconosce distinzioni, un alfabeto che non ammette traduzioni. 



In realtà nella società civile esistono forze che non sono affatto riducibili ai partiti o ai gruppi politici: in tal senso il documento non è affatto la difesa di un gruppo, né è riducibile ad una strategia di posizionamento alla vigilia dell’imminente confronto elettorale. Esso costituisce, al contrario, un’occasione per cogliere una verità essenziale, mai così preziosa come adesso per riformare e rifondare una società al bivio. 



Il documento afferma infatti il diritto ad un’esperienza non omologabile, non convertibile nella valuta universale dell’ordinario scambio politico. Esso attesta l’esistenza di qualcosa d’altro che fonda una forma di agire sociale ed un conseguente “bisogno di città” proprio di ogni credente. Non è un caso infatti se don Luigi Giussani, nel formulare il ruolo politico di ogni movimento religioso, parli del diritto all’esistenza della comunità cristiana, cioè del diritto ad esistere e ad operare in conseguenza dell’esperienza fondativa alla quale si partecipa. Questo è un diritto universale, in qualche modo pre-politico e quindi essenziale ad ogni democrazia reale. 



Una tale considerazione non ha nulla di marginale ed è gravida di conseguenze. La distinzione è decisiva: un movimento politico, al di là delle lotte specifiche che intraprende e degli obiettivi che persegue, non elabora necessariamente un’esperienza di vita; un movimento religioso, al contrario, non può farne a meno. Il primo può vivere essenzialmente delle proprie campagne d’opinione, il secondo non vi sopravvivrebbe per più di qualche mese. Nel primo l’esperienza di vita, la vita condivisa, è un valore aggiunto: può esserci, ma non in modo necessario né inevitabile. Nel secondo, al contrario, è il bene essenziale, l’unica ragione per la quale valga la pena di aderire. Si entra in un movimento politico per perseguire un obiettivo e un ideale, si entra in un movimento religioso per condividere un’esperienza che è anche un’appartenenza ed una memoria. 

Solo se si comprende questo radicale mutamento di prospettiva si può capire come, per ogni appartenente a Comunione e liberazione, l’impegno politico sia sostanzialmente successivo all’esperienza di vita attiva che ha preso forma; non ne costituisce lo sbocco obbligato, né tanto meno ne custodisce il significato ultimo. La democrazia in questo caso, prima di essere partecipazione, è l’esperienza della possibilità di esistere declinando tutte le conseguenze dell’incontro decisivo con una verità che ha cambiato la storia di tutti e di ciascuno. È a partire da questo nucleo che si edifica un’esistenza “non negoziabile” rispetto alla quale la politica è inevitabilmente e ontologicamente seconda. Ci si impegna per passione, per vocazione, o per un senso del dovere personalmente intuito, non per una conseguenza inevitabile: la vita viene necessariamente prima, l’esperienza precede la militanza.

Ma la vita cristiana non può venire prima senza promuovere, nello stesso tempo, ogni altra forma di esistenza, ogni altro “bisogno di città”. Per questo “se sono autentiche, le comunità cristiane sono promotrici di democrazia sostanziale”. Recuperare le radici del diritto ad un tale bisogno è il contributo specifico (e inevitabile) che i cattolici possono offrire alla politica, così come costituisce l’occasione migliore per aiutare quest’ultima a comprendere un mondo vitale che le preesiste, un bisogno che fonda una parte della società civile e anima le esperienze che vi prendono vita. Mai come adesso riconoscere tali specificità, avere occhi per comprendere un tale tessuto sociale, costituisce una delle condizioni essenziali per uscire dalla crisi.

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