La lunga gestazione delle liste del Pd sembra che sia stata meno difficile del previsto. Le “primarie” sul leader e le “primarie” sui candidati avevano tracciato la strada per le indicazioni di massima che poi dovevano trasformarsi in scelte definitive. Non si ha ancora il quadro completo del bilanciamento delle varie “anime” e delle “componenti” del Pd. Ma alla fine si può affermare che il risultato non susciti grandi contestazioni. In più, si può notare che l’influenza di Matteo Renzi c’è stata e si è avvertita. Al momento si è saputo che resta aperta solo un problema in Sardegna, non di portata tale da incrinare i rapporti tra il vertice e la periferia del partito, tra la base e la dirigenza.
Si può notare che l’ispirazione di Pier Luigi Bersani è quella di offrire un gruppo parlamentare largamente cambiato, salvo alcuni capisaldi che determinano la confluenza tra ex Ds ed ex Margherita (cioè postcomunisti e cattolici di sinistra), per favorire l’immagine di un partito che interpreta il centrosinistra in modo che non sia troppo “schiacciato” a sinistra, dovendo fare i conti in questo momento con la lista di Mario Monti che, secondo i sondaggi, sta erodendo lentamente l’elettorato del Partito democratico in questo ultimo mese. In tutti i casi, alla fine, il Pd non è solo primo nei sondaggi è anche il primo partito che risolve questo perenne “rompicapo” della formazione delle liste da presentare alle elezioni.
Peppino Caldarola, bravo giornalista, attento alle vicende della sinistra e del Pd (è stato parlamentare con i Ds nel 2001) giudica il risultato di queste liste soddisfacente.
Che le sembra Caldarola?
Mi pare che Bersani e il gruppo dirigente, i vari organi che curavano questo problema abbiano rispettato i criteri che erano stati stabiliti. Per dare un giudizio più calzante e complessivo bisognerà vedere con più attenzione queste liste, ma al momento si può affermare che non si siano verificati i traumi che qualcuno paventava e che quindi il Pd possa essere soddisfatto di tutto l’itinerario, il percorso che dalle primarie lo hanno portato alla formazione delle liste.
Un primo giudizio anche approssimativo?
La mia sensazione è che Matteo Renzi abbia ottenuto anche qualche cosa in più di quello che aspettava. Segno evidente che lo stesso Pier Luigi Bersani ritiene l’area del partito che fa riferimento a Renzi la più importante, quanto meno la più significativa, da contrapporre ai centristi e offrire l’immagine di un partito aperto e rinnovato. Poi vedo che c’è una forte componente femminile. Hanno certamente lavorato con il bilancino, per fare quadrare spinte innovative, rispetto delle componenti interne, non aprendo polemiche interne che potevano essere controproducenti.
Cos’è accaduto dopo il pranzo in trattoria tra Renzi e Bersani?
Bersani si è rivelata ancora più vittorioso rispetto alle primarie del centrosinistra. Nella competizione per il Parlamento, i candidati bersaniani sono riusciti a surclassare tutti gli altri. A quel punto, Renzi avrebbe dovuto scegliere se far parte della partita, o sottrarsi. Ha preferito optare per la prima scelta, guardando al futuro.
Eppure, ha fatto presente che gli spetterebbero 160 parlamentari. E che, normalmente, un altro avrebbe già fatto le valige. E’ una minaccia?
Non direi. Non dimentichiamo che il suo mondo, in parte, non è stato all’altezza della sfida. Le fuoriuscite di alcuni parlamentari o ex parlamentari, inoltre, lo hanno indebolito. Penso a Ichino, Ranieri e Adinolfi. Sono stati suoi compagni nelle primarie e hanno deciso di andare con Monti. Il che lo ha costretto, se vuole giocarsi pienamente tutte le carte che gli rimangono, a ribadire la sua lealtà al Pd.
Non potrebbe allearsi con Monti pure lui? O lanciare i suoi nelle liste montiane?
No. Credo che stia mantenendo la parola data. Affermò che una volta concluse le primarie, avrebbe fatto campagna per il vincitore e così sta facendo. Per lui è molto più importante mettere un’ipoteca sul futuro del Pd piuttosto che perdersi dietro le nebbie della suggestione montiana.
Quindi, a cosa mira?
Della generazione under 40 che possono prendere la guida del partito è indubbiamente quello con più chance. E, d’altro canto, sa bene che Bersani, se diventasse presidente del Consiglio, avrebbe bisogno di poter disporre di un partito con una guida molto giovane.
E fedele no?
Leale, direi; la fedeltà implica sudditanza, la lealtà si gioca alla pari. Bersani potrebbe contare, da parte di Renzi, anche rispetto alla guida del Pd, su quest’ultima
Questo, in ogni caso, significa che, all’indomani delle elezioni, il Pd dovrebbe celebrare un congresso
Indubbiamente. Non appena Bersani diventasse presidente del Consiglio, dovrebbe dimettersi da segretario del partito. A quel punto, si aprirebbero le primarie interne per indicarne il successore. E Renzi, attualmente, è in pole position. D’altro canto, non è escluso che faccia il ministro. O che continui a fare il sindaco di Firenze, preparandosi, avendo solo 36 anni, al dopo Bersani, lasciando trascorrere questa stagione. Sta di fatto che la segreteria del partito, in attesa di scaldare i muscoli per la discesa in campo come candidato premier, per lui rappresenterebbe la migliore delle opzioni.
Renzi potrebbe tornare utile a Bersani anche in questa fase?
Certo, Bersani lo sta usando per dimostrare che il Pd non è un partito esclusivamente di sinistra, ma pluralista. Un’operazione necessaria, specialmente nell’ottica di andare al governo. Bersani, anche e soprattutto attraverso la compilazione del listino, sta cercando di dar vita ad un partito che si trovi al centro del sistema politico, dove sono presenti correnti culturali diverse in grado di esprimere, insieme, una capacità di governo.
Lo sbilanciamento prodotto da Renzi nei confronti del centro è in grado di frenare l’emorragia di voti verso Monti?
Non credo che ci sarà, nei confronti di Monti, un flusso significativo di voti proveniente dal Pd. Sta di fatto che l’impegno di Renzi in campagna elettorale può indebolire lo spostamento verso l’ala montiana.
(Paolo Nessi)