E’ arrivato il momento di modificare la Costituzione, quel momento in cui è “possibile e necessario” affrontare il compito di un “sapiente rinnovamento del nostro ordinamento costituzionale, coerente con i suoi valori fondanti”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato ai partecipanti al Forum italo francese “Dalle riforme, la rinascita” in corso in Valle d’Aosta. Il Capo dello Stato ha anche ricordato l’importanza del valore ancora attuale della Carta “come strumento di indirizzo e stimolo in direzione di una Europa di pace e di progresso”, auspicando che dal confronto con i vicini francesi “possa scaturire un utile arricchimento della riflessione in corso nel nostro Paese e delle proposte che sono sul tappeto”. Le parole di Napolitano, probabilmente non a caso, si scontrano con i 250 pullman in arrivo da ogni città d’Italia e diretti a Roma, dove oggi è in programma la manifestazione “Costituzione: la via maestra” per la difesa e l’attuazione della Carta costituzionale, promossa da Lorenza Carlassare, Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky e che vede l’adesione di oltre 200 associazioni locali e nazionali. In attesa di ulteriori sviluppi, abbiamo fatto il punto della situazione con Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Foggia e componente della Commissione sulle riforme costituzionali nominata a giugno dal governo Letta.



Professore, come giudica l’apertura del Capo dello Stato?

Il “potere di esternazione” del presidente della Repubblica, vale a dire la sua facoltà di intervenire nel dibattito pubblico si è ormai notevolmente esteso, quindi non c’è da meravigliarsi che anche lui voglia dire la sua sul tema della riforma della Costituzione. Se poi inquadriamo questo intervento nel contesto istituzionale attuale, cioè quello di un governo di grande coalizione nato proprio su iniziativa di Napolitano con un programma che include fra l’altro la riforma della Carta, allora credo che lo scenario sia chiaro: il capo dello Stato si inserisce nella linea che lui stesso ha concorso a tracciare (sin dal suo messaggio di insediamento), ricordando che è possibile e legittimo modificare e aggiornare la Costituzione. Due aspetti possiamo però sottolineare.



Quali?

Il presidente ricorda che queste riforme devono avvenire nell’ambito della Costituzione. Può sembrare banale, ma oggi parlare di questa riforma non significa più, come vent’anni fa, inserirsi in una dialettica tra chi pensa che la Carta sia superata e chi invece la difende a spada tratta. Al contrario, significa partire dal presupposto che la Costituzione del 1947 è un pilastro della nostra storia, un punto di riferimento ineliminabile, ma che bisogna adeguarla ai tempi. Questo mi sembra il punto di vista di Napolitano.

Il secondo aspetto?

Le dichiarazioni del capo dello Stato arrivano alla vigilia di una manifestazione, organizzata da tempo, che ha ormai assunto una caratteristica di difesa ad oltranza della Costituzione che è decisamente discutibile.



Cosa pensa delle posizioni assunte dai protagonisti della protesta? 

La loro intenzione è quella di tutelare la Carta da chi – a loro modo di vedere – vorrebbe stravolgerla, ma proprio su queste preoccupazioni si è innestata una chiara manovra politica. Coloro che si oppongono all’attuale governo, infatti, hanno utilizzato questo tema per organizzare una battaglia politica che, pur essendo del tutto legittima, usa in maniera strumentale il tema della riforma costituzionale. Così l’appello contro la riforma parla di “riforma costituzionale della P2”, il che, oltre ad essere inutilmente offensivo, è del tutto falso. Sono quindi dell’idea che, nonostante i buoni propositi, il senso della manifestazione sia leggibile nella seconda prospettiva di cui ho parlato.

 

Perché negli ultimi cinquant’anni si è diffusa la convinzione che la Carta Costituzionale sia intoccabile?

Perché la Costituzione nasce in un periodo storico molto particolare, un contesto adatto ad una scelta Costituente. Siamo all’indomani di una guerra perduta, e la Costituzione è la massima espressione di un tentativo di riprogettazione complessiva della nazione. Quando emerge la volontà di modificarla, quindi, l’impressione è che non si voglia semplicemente adeguarla, ma che si voglia invece rimettere in discussione proprio quelle scelte fondamentali. E’ però necessario uscire da questo schema e superare alcuni meccanismi, uno tra tutti il bicameralismo perfetto, che avevano un senso quando sono stati adottati ma che oggi contribuiscono a rendere poco funzionali le nostre istituzioni.

 

Perché crede che Napolitano abbia scelto di parlarne oggi e non qualche anno fa?

Perché la nostra Costituzione, nella sua essenza, ha retto bene fino al cambiamento della legge elettorale all’inizio degli anni Novanta. Quando quel contesto è venuto meno, non solo per la modifica della legge elettorale ma anche per altre nuove questioni riguardanti le autonomie territoriali e la giustizia, si è posto il problema di cambiare alcuni aspetti importanti della Costituzione. Il problema è che questa proposta di cambiamento è avvenuta in termini troppo radicali.

 

Cosa intende?

Il punto di partenza si trova in una dichiarazione che rilasciarono Bossi, Berlusconi e Fini pochi giorni dopo la vittoria elettorale del 1994, quando parlarono delle riforme attraverso due parole chiave, presidenzialismo e federalismo, come alternativa radicale all’ordine costituzionale esistente. Da allora e per molti anni, almeno fino al referendum del 2006, la questione è stata intesa dall’opinione pubblica come uno scontro tra chi voleva smantellare la Costituzione del 1947, con il rischio di rimettere in discussione la scelta Costituente che ci aveva inserito fra le grandi democrazie liberali e sociali europee, e chi invece difendeva quell’impianto. A mio giudizio ci troviamo in una fase storica in cui occorre finalmente andare oltre queste due posizioni.

 

Quali sono, a suo giudizio, i punti che rendono “vecchia” la Costituzione e che devono essere assolutamente aggiornati? 

Come dicevo in precedenza, è necessario rivedere il modo in cui è organizzato il nostro Parlamento. Al momento vi sono due Camere che hanno eguali poteri, attraverso cui deve passare un testo legislativo e chiamate a dare la fiducia al governo. Questo sistema, il cosiddetto bicameralismo perfetto e paritario, esiste soltanto in Italia e in Romania.

 

Perché crede che questo sistema sia superato o addirittura dannoso?

A meno che non si voglia tornare a un sistema elettorale proporzionale puro (che pochi in questo momento dichiarano di volere), in cui prima si eleggono le Camere e poi i partiti devono trovare accordi per formare un qualsiasi governo di compromesso, questo sistema è fortemente esposto al blocco, soprattutto nell’attuale situazione politica tripolare.

 

E se si cambiasse l’attuale legge elettorale?

Ci sarebbe comunque il rischio di avere due maggioranze diverse nelle due Camere, quindi di trovarsi nella stessa situazione di blocco che abbiamo vissuto dopo le ultime elezioni. Credo sia necessario togliere al Senato il diritto di dare e revocare la fiducia al governo, semplificando il procedimento legislativo e dando alla Camera l’ultima parola. Questa riforma riguarda allo stesso tempo il Parlamento, la forma di governo e le autonomie, visto che la seconda Camera diventerebbe quella delle Regioni e delle autonomie locali: quindi si tratta di un cambiamento che, pur non stravolgendo la Costituzione, arriva in profondità toccando tutta una serie di meccanismi fondamentali.

 

(Claudio Perlini)