“La presa di posizione di Renzi contro l’amnistia non nasce da un ragionamento politico, ma da una pura e semplice ricerca del consenso. Il sindaco di Firenze non ha nulla a che fare con il giustizialismo di sinistra, a lui importa soltanto vincere la corsa per la segreteria del partito”. Lo afferma Piero Sansonetti, direttore de Gli Altri ed ex direttore di Liberazione, dopo che il sindaco di Firenze ha polemizzato con il presidente Napolitano. Di fronte alla richiesta del capo dello Stato di un intervento del Parlamento per risolvere la questione carceri, Matteo Renzi ha ribadito: “Non mi sembra serio un nuovo indulto-amnistia dopo sette anni dall’ultimo. Non serio, non educativo e non responsabile”. Per Sansonetti, giova ricordare che dopo avere approvato l’indulto nel 2006, l’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, fu oggetto di una “bastonatura squadrista” da parte dell’inchiesta “Why Not” di De Magistris, che “ha portato a centinaia di assoluzioni di persone che nel frattempo hanno avuto la vita rovinata e la carriera troncata”.



Sansonetti, da dove nasce la netta presa di posizione di Renzi contro l’amnistia?

Renzi è uscito con queste dichiarazioni perché pensa che gli possano fruttare dei consensi nella lotta per la segreteria del Pd. Fare l’amnistia è una mossa da statisti, oggi di statisti ce ne sono pochini e Renzi sicuramente non è tra loro. Il vero timone della politica oggi sono i sondaggi, e nessuno mai potrebbe fare un’amnistia sondaggi alla mano. Notoriamente si tratta di una misura impopolare, Renzi si limita a prenderne atto e a cercare di trasformare questa sua posizione in voti.



Dietro a questa volontà c’è anche un disegno politico?

Sicuramente Napolitano è un garantista e Grillo un forcaiolo, Renzi da questo punto di vista invece non è nulla. Ritengo che Renzi non sia né giustizialista né garantista, ma punti semplicemente ad avere il maggior numero di consensi possibili. Il sindaco di Firenze è più una macchina del consenso che un dirigente politico. Anche la sua stessa scelta di partecipare alla maratona è semplicemente un sistema per catturare consensi, tanto è vero che l’ultimo che fece qualcosa del genere fu Mussolini. Il Duce faceva l’atleta, andava a cavallo, nuotava, costringeva i gerarchi come Achille Starace a saltare il fuoco a torso nudo. Mostrava cioè la sua possanza fisica come dote politica. Renzi compie un’operazione simile. Non mi immaginerei mai Moro, Fanfani e Berlinguer che fanno la maratona, ma nemmeno Prodi o Berlusconi. L’ultimo è stato appunto Mussolini.



La sfida di Renzi ai vertici del Pd non è stata in fondo tutta di natura politica?

Anche su questo avrei qualche osservazione da fare. Renzi ha dichiarato che il partito non è un fine ma un mezzo. Pensare che un organismo collettivo quale è un partito, ricco di persone, di idee e di pluralismo possa essere trasformato da organismo politico in strumento di una persona, cioè di Renzi stesso, è sì un’idea politica ma di natura autoritaria. In gran parte si tratta di un pensiero figlio del berlusconismo, ma del quale il sindaco di Firenze ha preso la parte peggiore. Renzi infatti non ha ereditato l’unico aspetto positivo del Cavaliere che è il suo liberalismo.

 

Nel 2006 l’allora ministro Mastella approvò l’indulto e nel giro di alcuni mesi ricevette un avviso di garanzia. Fu una coincidenza casuale?

No, non fu un caso. Mastella pagò duramente il suo garantismo, e tra l’altro è interessante che a farglielo pagare fu l’allora pm De Magistris, oggi sindaco di Napoli. A fare cadere il governo Prodi fu appunto l’inchiesta “Why Not”, una vicenda giudiziaria che si è conclusa con centinaia di assoluzioni nei confronti di persone che hanno avuto comunque la vita rovinata e la carriera troncata. Il paradosso è che De Magistris non sia stato chiamato a pagare in nessun modo per il suo clamoroso errore giudiziario. Anzi l’ex toga è stata promossa dal popolo in un plebiscito a sindaco di Napoli, mentre la stessa vicenda ha segnato la fine di Mastella. Dopo la bastonatura squadrista di cui fu oggetto l’allora ministro della Giustizia, oggi più nessuno può avere il coraggio di firmare un indulto.

 

De Magistris è un caso isolato, o alle Procure indulto e amnistia non piacciono?

Ai magistrati indulto e amnistia non piacciono perché tolgono loro una fetta consistente di potere. Attraverso indulto e amnistia la politica si assume alcuni poteri della magistratura. Mentre noi viviamo in un periodo in cui la magistratura assume costantemente molti poteri della politica. Amnistia e indulto sono la risposta della politica all’invasione di campo della magistratura con una controinvasione di campo.

 

E’ per questo che le Procure non la vedono di buon occhio?

Sì, è impensabile che la magistratura possa essere favorevole, anche se è del tutto evidente che l’amnistia, che a differenza dell’indulto sospende gli stessi processi, è decisamente a favore dei giudici. Dà infatti una risposta all’intasamento dei tribunali, che oggi sono paralizzati da decine di migliaia di provvedimenti che non possono andare avanti perché non ci sono il tempo e lo spazio. L’amnistia ne farebbe cadere decine di migliaia, permettendo ai giudici di riprendere normalmente il loro lavoro.

 

(Pietro Vernizzi)