“Il dibattito sull’amnistia interno al Pd documenta che è entrata nel vivo la gara per la leadership. Cuperlo è un candidato elegante, intelligente ed educato, ma ha lo svantaggio di rappresentare il passato. E lo stesso Letta, pur avendo maggiori chance nel lungo termine, non sarà in grado di tenere unite tutte le anime del partito. Pur non essendo un renziano, mi sono dovuto convincere che solo Renzi ha tutte le carte per farlo”. Ad affermarlo è Peppino Caldarola, giornalista e politico, ex deputato dei Ds ed ex direttore de L’Unità. Lo scontro all’interno del Pd si va facendo sempre più duro, con veleni e scambi di accuse incrociate. Il ministro Flavio Zanonato ha attaccato duramente Renzi per il suo no all’amnistia, con Valter Veltroni che si è a sua volta lanciato nella mischia sottolineando: “I ministri dovrebbero avere più misura quando parlano: si debbono evitare queste continue polemiche”.
Caldarola, che cosa sta accadendo all’interno del Pd?
Quando sta accadendo va visto nell’ottica per la corsa alla segreteria. Renzi appare lanciato per la vittoria mentre i suoi avversari interni cercano di contenerlo, pur non essendo in condizioni di batterlo. Il conflitto si apre quindi drammaticamente su ogni contenuto. Nel caso dell’amnistia Renzi ha interpretato un umore di fondo trasversale contrario al provvedimento di clemenza, e ha valutato realisticamente l’impossibilità che si trovi in Parlamento una maggioranza qualificata favorevole. Da qui è derivata la sua posizione contraria. Il ministro Zanonato lo ha subito attaccato per il suo parere contrario rispetto a quanto affermato dal presidente della Repubblica, ma resta il fatto che Renzi ha diritto a esprimere una posizione di dissenso.
Quali sono le correnti che si fronteggiano nel partito?
Lo scontro è tra Renzi e il fortino della vecchia sinistra rappresentata da Cuperlo, un candidato elegante, intelligente, educato. L’area di Cuperlo in passato ha subito però numerose sconfitte, esprimendo quattro segretari di partito, D’Alema, Fassino, Veltroni e Bersani, nessuno dei quali è riuscito a organizzare un partito di massa. La loro critica a Renzi, come uomo che minaccia la costruzione di un partito, cade quindi in partenza.
Anche Letta mira ad avere un ruolo importante nel futuro del Pd?
Sì, anche se Enrico Letta rappresenta un’altra logica. Innanzitutto si tratta di una logica più proporzionalista rispetto a quella nettamente più bipolare di Renzi. Il sindaco di Firenze appare inoltre più un uomo di movimento, Letta appare ed è più governativo. Sono due culture politiche che nascono dalla stessa matrice, il cattolicesimo liberal-democratico, ma che poi si differenziano nel loro sviluppo. Nei prossimi due mesi lo scontro sarà tra Cuperlo e Renzi, ma nella prospettiva i due “galli nel pollaio” sono Letta e Renzi.
Quello interno al Pd è un normale confronto politico o un conflitto lacerante?
Il tema del conflitto lacerante non esiste solo all’interno del Pd. Noi stiamo vivendo il fallimento della Seconda Repubblica, e quindi nessuno può immaginare quali saranno i partiti della nuova fase. In senso stretto il confronto nel Pd potrebbe non essere lacerante perché non si basa su una divisione ideologica. Tutti i contendenti dichiarano di avere più o meno gli stessi valori, ma ci può essere uno scontro di personalità più o meno acuto. E quella di Renzi è sicuramente una personalità ingombrante.
Quello che non è ancora emerso con chiarezza è quali siano i contenuti politici del sindaco di Firenze. Lei come lo colloca?
Renzi può fare il Tony Blair, cioè il liberal-socialista-cristiano. Ha quindi le qualità per sconfiggere la sinistra interna e nello stesso tempo ricomprenderla, puntando a un’egemonia a tutto campo. Qualora il sindaco di Firenze dovesse invece perdere la sua sfida, il centrosinistra diventà una sorta di arcipelago che qualcun altro cercherà di federare.
Un arcipelago è per definizione una realtà disomogenea …
Renzi ha la carta vincente per tenere unito questo mondo. I suoi avversari politici all’interno del Pd sono troppo legati al passato, quindi con tutto il peso di fallimenti e i rischi ideologici. Se Renzi dovesse fallire, si riaprirà una partita che risulterà però davvero difficile da giocare.
(Pietro Vernizzi)