Più parla e meno si capisce cosa vuole dire. Ok, sulla rottamazione ci siamo. Ma su tutto il resto? Ieri Matteo Renzi, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha detto la sua  su molte cose. In particolare, a domanda precisa di Aldo Cazzullo (quale sarebbe la sua politica economica?) ha risposto: «Tutto ciò che viene dalla dismissione del patrimonio pubblico va a ridurre il debito. Tutto ciò che viene dal recupero dell’evasione va a ridurre la pressione fiscale». Poi, citando i casi di Telecom e Alitalia, ha aggiunto: «Non possiamo continuare con un modello dirigista, con lo Stato che decide e la Cassa depositi e prestiti che fa da tappabuchi». Messa così, sembra chiara. Secondo Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, economista, la prospettiva del candidato alla segretarie del Pd è tutt’altro che chiara.



Cosa ne pensa delle affermazioni di Renzi sulle privatizzazioni?

Che patrimonio pubblico vuole ridurre? I beni immobili? Le imprese pubbliche? Non dirlo riflette una mediocrità da dilettante.

Addirittura?

Il primo passo, nell’ambito delle privatizzazioni, non è la vendita. Essa, infatti, equivarrebbe ad una svendita. Il passato insegna. E’, invece, necessario rendere appetibili sul mercato le imprese che si intende privatizzare. Ci sono aziende come Anas, Ferrovie dello Stato o Poste Italiane che andrebbero, prima, quotate in borsa, per capire quanto valgono. Si possono, altresì, effettuare altre operazioni. Ad esempio, i beni demaniali, o alcune opere d’arte invece che in affitto possono essere dati in usufrutto. Insomma, la formula di Renzi è semplicistica. E quasi non ha senso in un Paese in cui ci sono opacità, difficoltà finanziarie e bassi rendimenti.



Cosa ne pensa, invece, delle sue proposte fiscali?

Abbiamo imposte eccessive o sbagliate, e un fisco bizzarro e arbitrario. L’evasione fiscale, spesso, è un artificio derivante dal redditometro; il contribuente, inoltre, se sottoposto ad un accertamento, prima deve pagare, poi, eventualmente, potrà ottenere giustizia e un risarcimento.

Quindi?

La strada più sensata per far pagare le imposte, è quella di abbassarle, giustificandole agli occhi del cittadino con  una spesa pubblica produttiva. D’altra parte, bisogna capire a che dottrina ispirarsi: quelle di San Tommaso, Vanoni, o Einaudi, affermavano che l’imposta nasce da un’obbligazione dotata di un contenuto: si tratta di un patto con lo stato; diversamente, affermare che “tu devi” pagare le imposte, perché “è un dovere”, significa affermare una legge vuota di contenuto, priva di cause e ragioni. Si tratta di un principio arbitrario, che sottende uno statalismo autoritario. 




Renzi si è anche detto convinto del fatto che il mondo bancario debba uscire da molti settori, compresa l’editoria.

Già. E perché non si occupa del Monte dei Paschi di Siena, proprietario dell’ex Banca Toscana (che aveva sede a Firenze), e nel quale il Pd – il suo partito – è invischiato fino al collo?

 

Tra le altre cose, ha sostenuto che il tetto del 3% al rapporto deficit/Pil «è anacronistico. L’Europa deve cambiare», «la formula per risolvere la crisi italiana non è un algoritmo complicato; è la semplicità. Semplificare la burocrazia, il fisco, la giustizia, le norme sul lavoro. Perché non possiamo avere le stesse norme sul lavoro della Germania?». 

L’idea di derogare alla regola del 3%, di per sé discutibile, non ha alcun senso se si ipotizza di modificare la nostra disciplina per renderla simile a quella tedesca; se facciamo una riforma tedesca, basata sulla produttività, non abbiamo di certo bisogno di stimolare l’economia col deficit pubblico. Tutto ciò è contraddittorio. Inoltre, se vuole regole tedesche, perché non afferma: «applichiamo i contratti di Marchionne»?

 

Già, perché?

Perché sta raccattando tutto quello che trova per ottenere consenso. Ma si guarda bene dall’irritare più di tanto uno degli azionisti fondamentali del suo partito, la Cgil.

 

Renzi ha pure ribadito che non intende far nulla per nuocere al governo.

Direi, al contrario, che Renzi rappresenta per il governo una mina vagante. Una mina con dietro il nulla. Non c’è alcuna programma o prospettiva. Solo idee ambigue e contraddittorie. In sintesi, il governo fa il minimo indispensabile per tirare a campare ma, tutto sommato, rappresenta il male minore. Renzi, invece, stride, scalcia, ed è una contraddizione continua; il suo è un sessantottismo rivisitato.

 

Sta di fatto che, con ogni probabilità, diventerà segretario del Pd. Mentre Letta resterà al governo…

A quel punto, probabilmente il Pd si spaccherà. Non vedo, del resto, come possano convivere, nello stesso partito, Letta, Renzi, Fassina, Cuperlo e la Cgil.

 

Renzi può fare sia segretario che il sindaco di Firenze, come lui dice di voler fare?

E’ impossibile. Creerebbe un conflitto d’interessi spaventoso. Chi gestisce il partito di maggioranza, controlla le leve della finanza pubbliche; e le città, in qualche misura, vivono delle sovvenzioni statali. Firenze, più di altre. Basti pensare a tutti i settori culturali in cui riceve finanziamenti.