Normalmente quando si parla di politica gli animi si accendono e le passioni accecano anche le menti più coscienziose. Non sta bene, si dice, che un sacerdote tocchi il tasto della politica perché egli è padre di tutti e non deve prestarsi a diventare “uomo di parte”. La Chiesa, lo ha dichiarato ancora qualche giorno fa il Papa a Scalfari, non si immischia con la politica, ma porta nel mondo i suoi valori come tesoro offerto a tutti gli uomini di buona volontà. Don Giussani diceva anche che il compito della Chiesa non è quello di risolvere i problemi dell’uomo (e la politica è uno di questi) ma quello di richiamare l’uomo alla posizione più vera per affrontare e giudicare tutto. 



Consapevole di questo, vorrei soffermarmi a guardare in faccia la causa delle fibrillazioni di questi ultimi tre mesi di vita politica italiana: alla radice di tutto sta infatti il rifiuto di Silvio Berlusconi ad accettare la sentenza definitiva della Cassazione che lo ha condannato per frode fiscale. L’origine di ogni fatica e di ogni errore della nostra vita consiste proprio nel non accogliere il dato della realtà, le cose che accadono. Esse possono essere ingiuste, possono contribuire a farci sentire perseguitati o essere delle vere e proprie macchinazioni contro di noi, ma la nostra riscossa non sta tanto in una denuncia o in un sussulto di orgoglio, quanto nell’accettare e nell’affrontare il dato in questione come possibilità per me. 



Sanzionato economicamente, espulso dall’agone politico per via giudiziaria, minacciato da nuove sentenze e processi, Berlusconi avrebbe potuto cogliere il momento terribile come l’occasione per guardare in faccia la propria vita e per chiedersi: “ma io che cosa ci sto a fare al mondo?”. La paura ha invece prevalso e lo spirito di rivalsa ha dettato i tempi di frasi e gesti che rischiano oggi di rovinare anche i meriti che una parte del paese gli riconosce e gli attribuisce. Già, perché il problema della sinistra sta tutto nel non voler cogliere che esiste un paese che è stremato dall’azione sindacale nella scuola, nella sanità e nel mondo del lavoro, un paese che si identifica con le vicende personali di Berlusconi come se fossero le proprie e che gioisce quando lo vede vincere “solo contro tutti”. 



A questo paese la politica non sa parlare, favorendo la tentazione del disimpegno e della filosofia del “vaffa…”, per questo paese Berlusconi è sempre stato l’argine, la risorsa, contro un sistema irrazionale, schiavo dei ricatti corporativi di chi asseconda e favorisce i privilegi e le prebende. In forza di questa istanza forte di cambiamento e di resistenza, i moderati e i popolari hanno perdonato al centrodestra l’immoralità dei costumi, l’incapacità a governare e perfino l’opacità degli interessi tra economia e politica, ma non possono avvallare chi si schiera contro il dato di realtà, chi non vuole accettare le cose per quello che sono. Questo è il tempo della responsabilità, in cui imparare ad accogliere le circostanze della vita senza tenere il muso, senza scappare, senza rovesciare il tavolo. Col solo desiderio di vedere che cosa c’è, per me, in ciò che accade. Certo che, attraverso tutto ciò che succede, un Altro mi chiama e mi compie. 

Forse a Berlusconi è mancato proprio questo: un grande amore che lo rendesse certo della propria vita. Ma, in fondo, questo è quello che spesso manca ad ognuno di noi, rendendoci sempre più determinati dalle vanità e prigionieri di uno schema che ci impedisce di gustare ed amare ogni frammento della nostra esistenza. Per questo motivo noi amiamo la Chiesa: perché essa introduce su di noi uno sguardo nuovo, che né destra né sinistra ci possono dare, lo sguardo con cui siamo stati creati e che ci ha dato la forza di nascere e di vivere, preferendo al caldo dei nostri grembi le profondità dei vissuti dei nostri fratelli uomini. Adesso c’è solo da mendicare che questo sguardo diventi sempre più nostro perché possano aver fine le tante piccole crisi dei nostri rapporti e dei nostri ambiti di vita. Così che ci sia spazio ancora per tornare a crescere e a costruire. Nella consapevolezza che, per ogni epoca che finisce, Dio ne prepara una sempre più vera e più buona. Fino all’ultima. Quella che la Chiesa chiama, molto semplicemente “paradiso”.